Items filtered by date: Agosto 2020
Lunedì, 31 Agosto 2020 01:25

SASS JORDAN ‘Rebel Moon Blues’

 

 

Line up: Chris Cadell - guitars, slide, dobro, Jimmy Reid - guitars, backing vocals, Derrick Brady - bass, backing vocals, Cassius Pereira - drums
Guest: Steve Marriner - harmonica, Jesse O’ Brien - keyboards, Hill Kourkoutis - guest vocals tracks #5

Tracklist: Leaving Trunk (Sleepy John Estes ), My Babe (Willie Dixon), Am I Wrong (Kevin Moore), One Way Out (M. E. Sehorn /E. James / S. B. Williamson), Palace of the King (Russell,Nix,Dunn), The Key (**), Too Much Alcohol (Joseph Benjamin Hutto), , Still Got The Blues (Gary Moore)

La bellissima e bionda canadese che risponde al nome di Sass Jordan ci ha regalato la sua ultima fatica in studio. Un album di cover, eccetto una 'The Key', dove la bravissima female singer da ampio sfoggio della sua ugola 'nera' che sembra arrivata direttamente dal sud del Mississipi. In auge dal 1988 con “Tell Somebody” con questo nuovo “Rebel Moon Blues” (il nono full lenght album, senza contare innumerevoli ep e compilation), la nostra ci continua a regalare intense e profonde emozioni che devono tutto alla sua timbrica calda ed ammaliante che ti penetra nell'anima. Voce che sovente può ricordare Janis Joplin, quella di Sass è capace di interpretare qualsiasi song e renderla personale con, in taluni casi, l'aggiunta di grinta ed energia. Infatti questo disco conta solo otto tracce e forse è un peccato anche se, onestamente, avremmo gradito qualche pezzo originale in più. Come dicevo è presente solo 'The Key' come brano originale e riesce a tenere il passo delle eccellenti cover del disco; brano ritmato dall'incedere tranquillo ma ricco di magia con un ottimo guitar work che insieme a eccelse chorus line, fiati e la magnetica voce di Jordan si fa amare per tutti i suoi quattro minuti di durata. Bellissima la cover semi acustica di 'Too Much Alcohol (Joseph Benjamin Hutto), dove la slide guitar è da brivido come l'interpretazione vocale della straordinaria Sass. Sorpresa è stata trovarmi per ultima nientepopodimeno che 'Still Got The Blues' del grandissimo (e compianto...) Gary Moore, qui riproposta egregiamente senza farle perdere l'immensa alchimia di classe e melodia intrinseche nella song originale. Ottimo lavoro Sass però....la prossima volta vogliamo un disco con tutte tracce nuove ed originali!!!!!

Roby Comanducci

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Line-up: Ronnie Atkins – vocals, Ken Hammer – guitars, Rene Shades – bass, Chris Laney – keyboard, guitar, Allan Sørensen - drums

Tracklist: Fw30 (Intro), Future World, We Came To Rock, Love Games, Yellow Rain, Loud ´N´proud, Rodeo, Needles In The Dark, Eye Of The Storm, Long Way To Go, Mother Of All Lies, Kingmaker, Bull’s Eye, Little Drops Of Heaven, Sin-Decade. Bonus on DVD and Blu-Ray: - The videos: Little Drops Of Heaven, Mother Of All Lies, Nuclear Boomerang, My Soul To Take, A Heart Without A Home, Kingmaker, Face The World, Bull’s Eye, Last Beauty On Earth, Serpentine, Will You Still Kiss Me (When I See You In Heaven). \- Balingen Documentary - Japan Documentary - Interviews with Ronnie Atkins, Ken Hammer, Chris Laney, Rene Shades.

Dopo l'uscita dell'ottimo e ultimo full lenght album “Undress Your Madness” (trovate la recensione scorrendo indietro nella pagina, nda) i danesi in questione ci propongono questo interessante live album che riprende il loro ' Future World Live 30th Anniversary' del 2018 in onore al loro più grande capolavoro, quel “Future World” (1987) per il quale ancora adesso vengono ricordati nonostante abbiano continuato imperterriti (e con ottimi risultati) a sfornare eccellenti dischi. Infatti la tracklist qui presentata è composta da tutte le tracce di quel fatidico album da 'Future World' a 'Long Way to Go' con l'esatta sequenza presente anche su quell'album ed in più altre tracce prese da ottimi album come ' Mother Of All Lies' da “Motherland” (2013) o l'omonima del disco “Sin-Decade” (1992) e altre chicche per un totale di quindici canzoni. Sulla bravura della band è inutile dilungarci, conosciamo ben tutti la qualità tecnico-compositiva di Atkins e soci, la cosa bella è che nei dischi dal vivo si percepisce al meglio la capacità degli strumentisti e questo “Maid In Japan - Future World Live 30th Anniversary” rispecchia in toto la potenza che il gruppo in fase live sprigiona sul palco. Pura adrenalina e grinta heavy sempre però stemperata da una melodia di base che rende le loro song autentiche cavalcate pompose e dirompenti. Dobbiamo inoltre elogiare la registrazione, infatti come live non possiamo lamentarci e il lavoro fatto in produzione è stato lodevole; in questo modo abbiamo suoni puliti e la possibilità di carpire il sound di questo eccellente concerto. Interessante il formato cd + dvd dove troverete altro materiale interessante (leggete sopra nella tracklist). Un'altra opportunità per godersi dell'ottima musica che fa bene al cuore e all'anima.

Roby Comanducci

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Line up: Joe Bonamassa – guitars. The Sleep Eazys band includes: Anton Fig - percussion, Michael Rhodes, bass, Reese Wynans – keyboards, Lee Thornburg – trumpet, Paulie Cerra - saxophone, Jade MacRae and Juanita Tippins on background vocals. Others musicians: Jimmy Hall harmonica and multi-instrumentalist John Jorgenson.

Tracklist: Fun House (Danny Gatton), Move (Hank Garland), Ace Of Spades (Link Wray), Ha So (Jimmy Bryant), Hawaiian Eye, Bond (On Her Majesty’s Secret Service)(John Barry), Polk Salad Annie ( Tony Joe White), Blue Nocturne (King Curtis), It Was A Very Good Year ( Frank Sinatra)

E bravo Joe! Il qui presente virtuoso lo seguo da tanti anni ed ho avuto anche il “piacere” di intervistarlo (tra virgolette poiché si atteggiò un po' troppo da star...nda) un bel pò di anni fa nel periodo di militanza con Flash magazine. Il quarantenne è da sempre stato un piccolo genio ed era (e lo è ancora adesso) considerato come una delle ultime leve, uno dei nastri nascenti del firmamento hard/blues mondiale. Ovviamente questo ai suoi esordi su disco nel 2000 con l'impressionante lavoro “A New Day Yesterday” e ricordiamoci che in età adolescenziale partecipò ad un tour con nientepopodimeno che B.B. King (aveva circa 12 anni ...); un vero prodigio, cresciuto col verbo di BB King, S.R. Vaughan, ma anche coi maestri inglesi quali Jeff Beck, Gary Moore, Page, Gallagher. Adesso è divenuto un vero punto fermo per milioni di appassionati di rock, blues e dei suoi funambolismi con la sei corde. Se non erro questo è il suo diciottesimo album in studio, senza contare altrettanti live album e cinque lavori coi Black Country Communion. Bene, veniamo al dunque e apprestiamoci a scrivere di questa sua nuova fatica blues rock con la partecipazione dell'eccezionale The Sleep Eazys band che, tra l'altro, sono musicisti che lo accompagnano durante i suoi live tour. Diciamo subito che il suddetto album è un tributo al suo mentore musicale scomparso, Danny Gatton (chitarrista rock blues, country rock, rockabilly) ed infatti il disco parte con la cover di una sua canzone 'Fun House' che ci delizia con una superba sezione di fiati sempre accompagnata dalla sei corde del buon Joe. In tutte le tracce presenti (tutte cover) si mischiano mille influenze; dal blues al rock, dal jazz al beat con qualche accenno anni '60 in alcuni passaggi, da funambolici solos di chitarra a passaggi soft da club fumoso e buio di San Francisco. Un'altra stupenda cover di Hank Garland è la successiva 'Move' che parte con la linea musicale di un siparietto da cabaret per poi, su una base ritmica fusion, sviluppare un guitar work da cardiopalma; e se vogliamo la lode va data alla sezione ritmica che addirittura ci delizia con un drum solo di chiaro stampo jazz. Superba. 'Ace of Spades' riporta il nostro su stilemi prettamente rock anzi quasi 'garage' per questa cover di Link Wray, con un ottimo fraseggio di chitarra e un ritornello sicuramente degno dell'epopea del beat più “selvaggio”. 'Ha So' cover di Jimmy Bryant inizia con un particolarissimo giro di chitarra e si sviluppa in un rock blues ammaliante e ruffiano. La successiva ' Hawaiian Eye' è un rifacimento della colonna sonora di una serie tv dove Bonamassa ci delizia con una genialità straordinaria; unisce momenti di vigoroso guitar blues con passaggi lenti ed atmosfere da piano bar soavi e zuccherose. Grande, anche in questo brano, l'apporto della sezione fiati. Stupendo il lavoro fatto dal nostro nella cover di John Barry’s 1969 James Bond theme 'Bond (On Her Majesty’s Secret Service)', come anche del gaudioso rock blues di King Curtis 'Blue Nocturne' per poi finire con una rielaborazione di un classico lento di Frank Sinatra e Gordon Jenkins 'It Was A Very Good Year' eseguito maestosamente....da far venire la “pelle d'oca”. Un album che, pur non contenendo tracce originali, ci delizia con una esecuzione superba di cover song di artisti storici qui omaggiati da un autentico genio della chitarra. Grande disco!

Roby Comanducci

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Lunedì, 31 Agosto 2020 01:09

IN THIS MOMENT 'Mother'

 

 

Line up: Maria Brink – vocals, piano, Chris Howorth – lead guitars, chorus, Randy Weitzel – rhythm guitars, chorus, Travis Johnson – bass, chorus, Kent Diimmel – drums.
Guest musicians: Lzzy Hale ( Halestorm) – vocals on track 6, Taylor Momsen (The Pretty Reckless) – vocals on track 6, Joe Cotela ( Ded) – vocals on track 12

Tracklist: The Beginning (interlude), Fly Like An Eagle, The Red Crusade (interlude), The In-Between, Legacy, We Will Rock You (feat. Maria Brink, Lzzy Hale, Taylor Momsen), Mother, As Above So Below, Born In Flames, God Is She, Holy Man, Hunting Grounds (feat. Joe Cotela), Lay Me Down, Into Dust

Album sicuramente anomalo in questa sezione recensioni per quanto concerne gli stilemi musicali di questa band amaricana ma, come avrete letto nel mio profilo facebook, il Cathouse si occupa sì della rivitalizzazione del rock'n'roll ma anche, quindi, della valorizzazione di produzioni che, anche se un po distanti stilisticamente, valgono la pena di essere recensite. E questo è proprio il caso che calza a pennello. La band dell'avvenente Playmate, femme fatale e intrigante Maria Brink è dedita ad un rock alternative a tinte metalcore ed industrial con però soventi passaggi elettronici e d'atmosfera che, coadiuvati dalla bella e potente voce della singer, la dicono lunga sulla bravura dei nostri. Nati a Los Angeles nel 2005 questo “Mother” è il settimo album e, a mia insaputa poiché non li conoscevo benissimo, il loro sound mi ha letteralmente stregato. Maria ha una voce a tratti growl (poco) e per la maggiore pulita ed iniettata di potenza primordiale ma anche capace di farsi valere su temi pop-elettronici. E' assurdo il sound di questo album perché non è il solito gruppo con la voce femminile dedito magari ad un prog metal sinfonico; qui si toccano rock, elettronica, crossover, industrial con una semplicità disarmante e un'eufonia ed anche “commerciabilità” se vogliamo superlativa. L'album parte con un intro è la bellissima cover “Fly Like An Eagle” di Steve Miller che qui viene ri-arrangiata e resa sicuramente più pulsante ed ammaliante merito anche di un'interpretazione vocale della Brink sopra le righe. Un altro interludio e si riparte con 'The In-Between' dove l'elettronica la fa da padrone per creare un'atmosfera rarefatta sulla quale poi si carica un potente guitar work compresso e saturo al punto giusto che sfocia in rabbia controllata ma di chiaro stampo industrial. Stupenda è la lenta 'Legacy' che coi suoi sampler/effetti elettronici di base crea una magia sulla quale si inserisce il guitar work e una sezione ritmica pulsante ma, soprattutto, la voce fantastica della cantante. Arriva il momento della seconda cover 'We Will Rock You' (Queen) resa molto alternative con innesti elettronici (merito di Lzzy Hale, Taylor Momsen, nda) ma con un risultato finale più che discreto. La title track è un altro esempio di come anche un genere come questo riesca a pulsare di eufonie ed atmosfere ridondanti pathos e carattere. Stupenda. Si torna più cattivi con l'intrigante 'As Above So Below' mentre si calmano gli animi con la melodica, ipnotica ed ammaliante 'Born In Flames', altro piccolo gioiello di questo full lenght album. Segue una coppia di eccellenti song 'God Is She' e 'Holy Man' per arrivare al crossover a due voci featuring Joe Cotela della dirompente 'Hunting Grounds '. La penultima 'Lay Me Down' è un heavy rock ri-arrangiato con una punta di pop elettronico e un pizzico di White Zombie. Chiude il disco la cover “Into Dust” di Mazzy Star, lento eseguito al piano che regala una ulteriore sublime interpretazione vocale della bella e brava Maria. Sono rimasto indubbiamente colpito: questo è un disco da avere assolutamente a prescindere dai gusti personali, un album che potrei inserire in una mia ipotetica top ten dei dischi di questo nuovo 2020. Eccelso!

Roby Comanducci

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Domenica, 30 Agosto 2020 01:16

WISHBONE ASH “Coat of Arms”

 

 

Line up: Andy Powell – vocals and guitars, Mark Abrahams – guitars, Bob Skeat – bass, vocals, Joe Crabtree – drums.

Tracklist: We stand as one, Coat of arms, Empty man, Floreana, Drive, It’s only you I see, Too cool for ac, Back in the day, Deja vu, When the love is shared, Personal Halloween,

Anche se purtroppo con un po’ di ritardo non me la sentivo proprio di esimermi dal recensire l’ultima fatica dei britannici Wishbone Ash, storicissimo nome dell’Hard Rock di oltremanica attivi da più di cinque decenni, band che purtroppo non ha mai sfondato a livello di successo mainstream ma che resta comunque un’icona notevole nel suo ambito, e che ci regala in questa primavera il loro 23° disco in studio. Lo stile della band è evoluto a mio modo di vedere con una certa attenzione alla cura delle sonorità il più moderna possibile, ma resta ben riconoscibile con le sue influenze che dal blues e dal country vanno all’hard rock di inizio 70s e prosegue incorporando contaminazioni progressive e un gusto per l’effettistica di atmosfera decisamente ben riuscito. Il disco si intitola “Coat of Arms” e si presenta con una grafica affine a sound più epici e metal, ma come detto il contenuto è ampiamente nello stile della band, nonostante la nota diaspora dei componenti. Il riffing settantiano e la voce perfettamente armonizzata si sposano, dandoci una notevole serie di song melodiche ma non banali, con divagazioni blueaseggianti, un tocco di atmosfera “easy living”, e una buona prestazione vocale, attestata sulle note bassa e su uno stile che sembra tendere a sussurrare all’ascoltatore sopra la notevole piattaforma ritmica creata dalla band; in tal senso la recente aggiunta alla seconda chitarra di Mark Abrahams sembra aver effettivamente dato estro creativo e aiutato nella fase creativa, come si capisce dal coinvolgimento che ascolto dopo ascolto dà il disco. A tratti la produzione sembra leggermente sporca, forse nelle prime tracks più di tiro, ma si risolve in un ottimo lavoro dove la qualità del suono è ottima e rende l’ascolto un vero piacere (penso alla quasi conclusiva Deja-Vu). Devo dire, personalmente, che dopo l’inizio molto “hard” il finale dove le molteplici influenze e soprattutto il gusto dell’improvvisazione blues si fanno più sentire è decisamente accattivante, e probabilmente è la parte che meglio reinterpreta il classico stile Wishbone Ash. Pur non suonando forse un genere così tipicamente da “live” sono davvero dispiaciuto, in questa fase forse un po’ di stanca del rock melodico, di non poter sapere quando potremo provare dal vivo le capacità di questa nuova incarnazione dei Wishbone Ash. Un acquisto comunque molto consigliato.

Nikki

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Giovedì, 27 Agosto 2020 01:19

IAN PARRY ”In Flagrante Delicto”

 

 

Line up: Ian Parry – vocals, Patrick Rondat – guitar, Stephan Lill – guitar, Jeroen Van Der Wiel – keyboards, Casey Grillo – drums, Imre Daun – drums, Barend Courbois - bass

Tracklist: Spaceman, Travellers (Across The Unknown Universe), 3. In Flagrante Delicto, Fool’S Paradise, Impulse, Ingenious, Wish, Fly, The Day We Stop Dreaming, So Far So Good

Veramente carino ed interessante questo nuovissimo “In Flagrante Delicto”, quinto full lenght album dell'olandese singer Ian Parry (Kamelot, Elegy and more) che ci regala una serie di tracce in bilico tra l'hard rock, il pomp e un pizzico di progressive; sembra di ascoltare il bellissimo “Sleepwalking” dei mitici Magnum, band a cui questo album deve molto in quanto a struttura/sound/musicalità di base ma, precisiamolo, non c'è traccia di banali plagi bensì siamo al cospetto di un disco originalissimo, che ricorda certe sonorità ma vive di luce propria. Oltre alla bellissima ugola del leader vorrei farvi notare la presenza di un grande guitar hero, Patrick Rondat, autore di eccelsi album solisti ma questa volta dedito alla causa di questo album. Da segnalare anche l'ottima sezione ritmica e il pregevole keyboards sound del bravo Jeroen Van Der Wiel che contribuisce non poco al pathos e alla pomposità di tutte le tracce presenti. Si parte alla grande con 'Spaceman' dove il keys sound la fa da padrone e tesse una linea armonica fantastica mentre un corposo hard rock ci viene presentato nella successiva 'Travellers (Across The Unknown Universe)' e quindi la title track che, onestamente, varrebbe quasi da sola l'acquisto del disco. Iniziano synth e tastiere per dare un mood quasi pop che però viene iniettato da un potente riff di chitarra per poi far partire la song verso un pompous rock quasi epico nel suo incedere, stupenda! Un altro ruggente riff di chitarra apre 'Fool's Paradise' che poi si sviluppa in un altro ottimo brano rock, potente ma anche commerciale al punto giusto. 'Impulse' continua a farci sognare sempre sulle linee di un pomp rock che riesce a miscelare tanta melodia con un guitar work sopraffino. Non voglio dilungarmi oltre poiché tutto l'album è su un elevato livello qualitativo/compositivo e soprattutto sarà capace di farvi trascorrere un'oretta di puro gaudio musicale. Ottimo lavoro!

Roby Comanducci

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Mercoledì, 26 Agosto 2020 01:28

LORDI “Killection”

 

 

Line up: Mr. Lordi – vocals, Amen – guitars, Hella- keyboards, Mana – drums, Hiisi - bass

Tracklist: Radio SCG 10, Horror for hire, Shake the baby Silent, Like a Bee for the Honey, Apollyon, SCG10 the last hour, Blow my fuse, I Dug a Hole in the Yard for you, Zombimbo, Up to no good, SCG10 Demonic semitones, Cutterfly, Evil, Scream Demon, SCG10 I am there

Un graditissimo ritorno quello che mi appresto a recensire oggi, quello dei Lordi! Il ritorno di una band che si è meritatissimamente ricavata una sua fetta di notorietà ed una sua vera e propria nicchia sonora nel corso di ormai tre lustri di onorata carriera, e che ha deciso di onorarci, in questo disco, con una notevole trovata, un concept! Ovviamente ci si potrebbe chiedere che genere di concept potrebbe saltare in mente ai Lordi, band non usa all’introspezione e al lanciarsi in ardite narrazioni musical letterarie … Ebbene, la grandiosa idea che hanno avuto è stata di autodedicarsi un finto greatest hits, e una finta trasmissione radio che lo presenta, inclusiva di telefonate di commento (che poi, sono una perla nella perla, ma non ne parlo più e lo lascio scoprire a voi). Scopo del tutto è ripercorrere tutta una serie di influenze che loro stessi hanno avuto nella loro musica, influenze che percorrono una certa gamma di generi musicali e sicuramente diverse decadi. Un’idea eccellente e che certo non fa rimpiangere le carrellate di cover che qualche anno fa venivano riproposte allo scopo (a volte una buona idea, diverse altre volte semplicemente pessime…), inventando quindi dal nulla una piccola narrazione, che come tale ci trasporta in una piccola realtà alternativa: quale? Quella della musica vista dai Lordi appunto. Un paio di song sono nel classico stile trash/power/horror rock tipico della band, e servono a introdurre il discorso. Poi la barra vira decisamente indietro nel tempo. Una piccola perla la song #3, un classico easy listening 80s, con uno splendido assolo di sax a opera nientemeno di Mr. Michael Monroe, contenente una digressione parlata in stile horror rock, composta nientemeno che da Paul Stanley e Jean Beauvoir (e vabbè, per me il disco potrebbe già finire ...) e il tema 80s prosegue con qualche influsso dark in Apollyon, per poi svariare, passando dalla disco (già) di Zombimbo (comunque in perfetta linea con l’iconico stile Lordi, allo shock/sleaze rock di “I dug a hole in the yard for you” piuttosto che alla notevole “Up to no good”. Questo disco gode di una produzione assolutamente eccezionale, tanto che sono stati usati molteplici studi di registrazione (per i differenti generi, ovvio …) e che ogni singolo suono è perfettamente curato. Un lavoro di lima eccellente per una resa eccezionale (non so perché ma mi viene in mente la maniacalità cinematografica e di cura dei dettagli e delle citazioni di Quentin Tarantino …). Cosa dire in chiusura? Pare superfluo dirlo ma il disco è godibilissimo, vario, e si sente che è ben suonato e curato, ed è molto coinvolgente e composto con grande estro. Niente se non davvero complimenti per l’originalità dell’idea e la cura che ci sta dietro, e il giusto tributo così ottenuto all’eterno dio rock’n roll. Un acquisto decisamente consigliato.

Nikki

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Line up: Adam Nergal Darski – guitars, vocals, Sasha Boole – guitars, banjo, Matteo Bassoli – bass, synth, backing vocals, Lukasz Kumanski – drum, backing vocals

Tracklist: Run With The Devil feat. Jorgen Munkeby (Shining NOR), Coming Home feat. Sivert Høyem (Madrugada), Burning Churches feat. Mat McNerney (Grave Pleasures), By The River feat. Ihsahn (Emperor), Mestwo, Surrender feat. Dead Soul e Rob Caggiano (Volbeat), Deep Down South feat. Johanna Sadonis (Lucifer) e Nicke Anderson (Entombed), Man Of The Cross feat. Jérôme Reuter (Rome), You Will Be Mine feat. Matt Heavy (Trivium), How Come? feat. Corey Taylor (Slipknot), Rob Caggiano (Volbeat) e Brent Hinds (Mastodon), Confession feat. Niklas Kvarforth (Shining SE)

Ma guarda cosa ci combina, ed è anche la seconda volta essendo la seconda release, nientepopodimeno che il leader vocalist/guitarist dei Behemoth (famosa band in auge dal 1991 col suo black/death metal), Adam Nergal Darski: un album diametralmente opposto al metal, dalle sinfonie rock, folk, southern & acoustic rock. Incredibile. E questo è uno di quei casi dove si può parlare di “genio” compositivo e culturale di un artista. Non è da tutti proporre musica così lontana anni luce nello stile e riuscire nel migliore dei modi sfornando album assolutamente avvincenti e qualitativamente elevati. Questo “New Man....” è veramente un piccolo gioiellino di rock dove il nostro si cimenta sia come vocalist che come guitar player coadiuvato da una band di tutto rispetto e, soprattutto, aiutato dall'innesto di una serie lunghissima di guest star (che potete leggere nella tracklist). Onestamente non mi aspettavo un risultato così ricco di pathos, avvincente e soprattutto dedito a stilemi musicali molto introspettivi e coinvolgenti. Prendete la stupenda 'By The River' dall'incedere lento e cadenzato (ha come ospite Ihsahn degli Emperor), ma non una ballad tutt'altro; un sound che sembra gridare una sordida rabbia che poi si sviluppa verso la parte finale del brano aumentando (di poco) il ritmo e sfoggiando un autentico assolo di chitarra quasi da incorniciare per bellezza ed eufonia. In questo suo progetto Nergal sembra uscire dalla scuola di Nick Cave o J. Cash e il paragone non è affatto scomodo o esagerato, se ascoltate song quali l'ipnotica 'Man of The Cross' o la ballad acustica 'You Will Be Mine' capirete quello che ho appena scritto. Un bel rock, molto indie, è 'How Come?' con la presenza di Corey Taylor (Slipknot), Rob Caggiano (Volbeat) e Brent Hinds (Mastodon); un brano a più voci che farà innamorare l'ascoltatore al primo ascolto e sarà difficile togliervelo dalla testa. Come non menzionare poi il veloce country rock di una delle mie preferite 'Deep Down South' dove è presente come guest vocals la bella Johanna Sadonis (Lucifer). Da segnalare anche qui il pregevole solo di chitarra. Se invece volete un rock tendente all'hard allora ascoltatevi subito l'intrigante opener 'Run With The Devil' viceversa se siete curiosi e vi piace l'originalità saltate immediatamente alla conclusiva 'Confession'. In questa traccia ritornano echi del grande Cave e la lentezza del suono la fa da padrone con questa voce penetrante e calda accompagnata da cori sognanti dal forte lirismo e poi, di colpo, verso la fine, l'atmosfera sognante continua ma si sente solo in sottofondo perché parte un veloce brutal black metal sparato a mille che conclude il pezzo. Cioè....a dir poco originale e curioso ma sicuramente d'effetto. Un album degno di entrare a far parte della vostra preziosa collezione di dischi!

Roby Comanducci

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Lunedì, 17 Agosto 2020 01:47

GOTTHARD “#13”

 

 

Line up: Nic Maeder – vocals, Leo Leoni- guitars, Freddy Scherer – guitars, Marc Lynn – bass, Hena Habegger – drums. Flavio Mezzodi - drums (on tour)

Tracklist: Bad News, Every time I Die, Missteria, 10.000 Faces, S.O.S, Another last Time, Better than Love, Save the Date, Marry You, Man on a Mission, No time to Cry, I can say I´m Sorry, Rescue Me, No time to Cry (Demo Version), I can say I´m Sorry (Piano Version)

Cosa volete che vi dica ragazzi, per me parlare dei Gotthard è un vero tuffo nel cuore. Avevo conosciuto il magico Steve Lee e, comunque, adoravo la loro musica sin dagli esordi. Li consideravo, e li considero tuttora, uno dei migliori act nel music biz di sano hard rock. Ammetto che dopo la tragica morte del singer mi ritrovai spiazzato anche perché i Gotthard erano Steve Lee. L'uscita del postumo album “Firebirth” con il nuovo cantante mi lasciò con l'amaro in bocca; un discreto album ma troppo fotocopia e si sentiva la mancanza di Steve. Poi sono passati gli anni e ben quattro album sempre con la formazione originale e il nuovo singer che, ricredendomi, ha preso più che dignitosamente il posto di Steve. Nic Maeder è molto simile a Lee, lo potete sentire nella bellissima e suadente 'I can say I´m Sorry (Piano Version)' dove sembra effettivamente che sia lo stesso Lee a cantare anche se, lo ammetto, in questi anni è riuscito a ritagliarsi un suo preciso spazio e ascoltandolo bene la similitudine c'è ma dobbiamo rendergli atto che quel pizzico di originalità tutta sua c'è e viene percepita. Bene. Detto questo veniamo a questo nuovissimo “#13” che tra l'altro è proprio il tredicesimo album della band. Il suono è arrangiato molto bene, il songwriting è di livello e le composizioni sono tutte di medio alta qualità. C'è un'ottima prova dei due axe man Leoni-Scherer, la sezione ritmica sempre precisa e pulsante e, diciamolo, un'ottima prova del singer Nic. Come da tradizione la tracklist si suddivide tra momenti melodici e potenti hard rock song anzi, questo album propende più sul versante 'duro' rispetto a quello 'soft' come invece poteve essere per il (comunque bellissimo) “Human Zoo” (2003), tanto per fare un esempio. L'album parte con l'opener 'Bad News', classico hard rock senza fronzoli, accattivante e grintoso ma prosegue e si accende ancor di più con l'up tempo heavy rock 'Every time I Die', vera ed autentica perla. La terza 'Missteria' con l'inizio orientaleggiante e un ritornello accattivante si potrebbe candidare come vera radio hit se le nostre beneamate emittenti si decidessero a pompare un pò di vera musica hard e non le solite nu metal-crossover e/o female progressive metal band con cantanti che urlano in growl. Veniamo alla successiva '10.000 Faces', brano hard cadenzato ed ammiccante al punto giusto per giungere poi alla cover degli Abba, la bella 'S.O.S'. Si torna a rockare con 'Another Last Time' anch'essa impreziosita da ottimi riff ed un eccellente guitar work e si prosegue con 'Better Than Love' brano partorito in puro eighties style quindi solare, malizioso e abbellito da chorus line da vasto airplay. Leoni ci regala ancora un granitico riff di chitarra su 'Save the Date' supportato da una sezione ritmica pulsante. Ed arriva quindi il momento del -primo- lento, stiamo parlando della semi acustica 'Marry You' che Nic interpreta con maestria e ci regala un intenso pathos. Si ritorna al rock duro con la successiva 'Man on a Mission' che ricorda non poco i Whitesnake e si va avanti con l'eccelso heavy rock di 'No Time to Cry' che parte granitica per accelerare nel finale. Ottima. E' la volta della seconda ballad 'I can say I´m Sorry', intrigante e melanconica al punto giusto che poi lascia spazio all'originale 'Rescue Me'. Song dalla struttura armonica particolare, un rock molto intrigante, con cambi tempo interessanti e comunque una melodia di base forte che va a smussare il comunque sempre presente e graffiante guitar work. Le ultime due tracce sono una riedizione di 'No Time to Cry' versione demo e la stupenda e già menzionata all'inizio della recensione 'I can say I´m Sorry (Piano Version), un'altra vera e propria chicca. Cosa dire: i Gotthard non potevano sfornare un album migliore. Acquisto obbligato!!!

Roby Comanducci

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Domenica, 16 Agosto 2020 01:53

SEMBLANT “Obscura”

 

 

Line up: Sergio Mazul – vocals (growl), Mizuho Lin – female vocals, J.Augusto – keyboards, Julian Ribeiro – guitars, Welyntom “Thor” Sikora – drums, Johann Piper – bass.

Tracklist: Murder of crows, Left behind, Dethrone the gods, Control the masters, Mere Shadows, Porcelain, The hunter, the hunger (legacy of Blood part V), Wasteland, Barely breathing, Wallachia, Daydream tragedy, Insomnia

Quest’oggi vado a raccontarvi di qualcosa un po’ fuori, tutto sommato, dalle coordinate tipiche dell’ultimo materiale recensito, oltre che dalla coordinate geografiche di provenienza in effetti… I Semblant sono un relativamente nuovo acquisto in casa Frontiers, e la loro nazione di provenienza è nientemeno che il Brasile, da cui nel tempo numerose band di rilievo in ambito metal sono arrivate. Il genere che propongono è un interessante power sinfonico con amplissimi inserti di carattere melodico e di atmosfera, che crea un prodotto potente e coinvolgente grazie a una serie di fattori che vado a raccontarvi. Intanto, aggiungo, ancora scusate per il ritardo con cui arrivo su questa uscita purtroppo del mese di Marzo; tuttavia, in tempi di emergenza come questi, molti tempi organizzativi sono saltati. Me ne scuso con i lettori e la band. Ascoltando questo disco si viene immediatamente immersi in un ambiente sospeso e mistico, perfettamente delineato dalle due ottime e contrapposte prestazioni vocali che contribuiscono per la band: e stiamo parlando di Sergio Mazul per il growling, la parte maschile, che tuttavia perlopiù fa da controcanto alla voce femminile di Mizuho Lin. La voce di Sergio è estremamente forte e espressiva per lo stile che interpreta, mentre la vocalist femminile dà interpretazione alle song, usando di base un tono acuto ma al contempo vibrante, e sfruttando la sua estensione per dare pathos e spessore emotivo alle song. Per la parte strumentale, colpisce la pulizia della produzione; le diverse linee sonore sono perfettamente mixate senza alcuna sbavatura e danno un’impressione di coesione ed amalgama elevata, specie contando i diversi influssi che ci sono. Sono in effetti diverse le influenze che entrano in gioco nel definire il genere della band, ma trovo sufficientemente descrittive, tra le molte indicate dalla bio, le componenti dark e progressive presenti nel metal. A queste a seconda delle song possiamo unire influenze power o classic, come nella opener “Murder of crows”, piuttosto che lasciare un più deciso accento sulla parte sinfonica ed effettistica (“Porcelain”); il disco vive perciò di un continuo variare dell’equilibrio tra queste due componenti. Alla distanza, nell’impressione dell’ascoltatore credo sia la parte simphonic metal a prevalere, ma senza essere mai troppo scontata. A livello di prestazioni strumentali, credo che siano interessanti le divagazioni ritmiche sul muro di suoni dati dalle tastiere che troviamo in quasi tutti i brani; la sezione ritmica è precisa ma essenziale mentre il lavoro agli effetti dà la struttura ai pezzi e permette ai due vocalist di esprimersi appieno. Concludo dicendo che, al secondo disco, tipicamente la prova della maturità, la band sembra aver ottenuto un amalgama notevole, e realizza un lavoro tecnicamente e a livello compositivo notevole. Attendiamo, speriamo il prima possibile, una riprogrammazione del loro tour europeo per poterne apprezzare le doti dal vivo.

Nikki

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