PALACE
“Reckless Heart”
(Frontiers Music s.r.l.)
release: 12 – 07 - 2024
genere: Aor, hard rock
voto:4
Line up: Michael Palace: all instruments, producer, mix and mastering
Tracklist: Reckless Heart, The Widow’s Web, Back In Your Arms, Girl Is An Angel, You Give Me A Reason To Live, Back To ‘85, For The Love, Turn This Car Around, Weightless, Move Me,Stronger By The Day
Nuovo lavoro dell'artista svedese ma di origine Lituana Michael Palace il quale ha intrapreso un viaggio con la Frontiers come cantautore e chitarrista dopo varie collaborazioni con artisti del calibro di First Signal, Cry of Dawn, Toby Hitchcock e Kryptonite. “Reckless Heart” è il titolo di questo nuovo full lenght album dei Palace, un lavoro di AoR di ispirazione ottantiana che fa il verso a icone come FM, Aviator e Dare ma con uno sguardo al presente come Crazy Lixx e Chez Kane. Un disco di undici brani ove Michael ha scritto le canzoni, suonato tutti gli strumenti mixato e prodotto. I brani sono molto accattivanti già al primo ascolto ed entrano subito in testa come il brano "Girls is an angel", "You Give Me A Reason To Live" un altro brano dove si nota quell'atmosfera degli anni 80. Invece il brano che da il nome al album "Reckless Heart" e "The window's web" sono due tracce che si fanno notare per un arrangiamento con assoli semplici ma inseriti nei punti giusti del brano. Questo lavoro per i nostalgici del AoR di vecchia scuola è perfetto da mettere nella propria collezione che non sfigura con i mostri sacri di questo genere; 4su5 è il voto che si merita questo artista che ha voluto portare questo genere nel ventunesimo secolo e con successo. Frontiers Music ha puntato – ancora una volta - su un cavallo di razza indiscussa
Luca
SEVEN SPIRES
“A fortress called home”
(Frontiers Music s.r.l.)
release date: 21 – 06- 2024
genere: symphonic power, extreme metal
voto: 4.5
Line up: Adrienne Cowan – vocals, Jack Kosto – guitar, Peter de Reyna - bass
Tracklist: A Fortress Called Home, Songs Upon Wine-Stained Tongues, Almosttown, Impossible Tower, Love’s Souvenir, Architect of Creation, Portrait of Us, Emerald Necklace, Where Sorrows Bear My Name, No Place for Us, House of Lies, The Old Hurt of Being Left Behind
Vorrei iniziare con un’affermazione del bassista Peter de Reyna: “Questo album ti costruirà e ti distruggerà (…). Non potrei essere più orgoglioso della vita che è stata creata in questo nostro quarto disco. Gioite nell'angoscia, crogiolatevi nella gloria, e vi vedremo dall'altra parte”. In vena di citazioni, ecco quella di Adrienne Cowan: “Ho visitato il vuoto due volte mentre scrivevo questo album. Non so quale abbia generato l'altro. È brutto. Lo adoro e lo odio, e penso che sia il nostro miglior lavoro.”, mentre il produttore Jack Kosto, che si è anche occupato del mixaggio, avvisa chi segue la band perché se solitamente i Seven Spires portano a percorrere un viaggio emotivo, in questo album portano l’ascoltatore e a confrontarsi con il viaggio che loro stessi vanno a crearsi. Le tracce sono tutte molto interessanti e in generale l’album si fa ascoltare molto bene, soprattutto, incuriosisce a ogni brano, stupendo con l’equilibrio di costruzione dei brani, oltre che con la sensibilità delle scelte. La band di amici di sempre, formatasi a Boston nel 2013, è conosciuta per i suoi album concettuali e soprattutto per la propensione a spingere i limiti del genere, infatti le influenze arrivano, tra gli altri, da tutto lo spettro del metal, raggiungendo voracemente il jazz, la musica orchestrale e l’influenza cinematografica che crea paesaggi sonori ambientali. “A fortress called home” chiarisce immediatamente che stiamo ascoltando musica di qualità, preparando sia all’atmosfera dell’intero album che dichiarando la qualità di questa band. È un brano orchestrale equilibrato che trasporta direttamente alla seconda traccia, caratterizzata dagli archi e dal growl, insieme ai cori che aggiungono pathos, successivamente entra una batteria prepotente insieme alla voce femminile in una sinfonia che cattura e incuriosisce, perché ci si chiede cosa seguirà. A tratti ricordando le sonorità o il tiro degli Avenged Sevenfold, le arpe, i violini e le tastiere, a tratti anche fiati come il flauto traverso, creano intermezzi assolutamente perfetti in quanto contrastanti con l’aggressività di chitarre e percussioni. La voce di Adrienne Cowan può essere tanto angelica quanto aggressiva, strizzando gli occhi a un modo di cantare tipico del punk rock/pop punk. C’è una maestria nella gestione dei tempi e della costruzione dei brani, che permette dei crescendo e climax nei momenti giusti, come anche i tempi dimezzati, piuttosto che i soli tipicamente metal (a volte heavy) e soprattutto i momenti di svuotamento sono sempre al punto giusto, a volte caratterizzati anche da rumori bianchi. Ci sono tracce più aggressive, come “Impossible tower” che inizia con un riff di chitarra dalle sonorità metal e un tempo leggermente più lento rispetto alle altre tracce, che rimane invariato praticamente per l’intero brano, attribuendogli così una solennità che l’intero brano porta con sé. Si arriva a un ritornello in cui la sonorità, indiscutibilmente Epic torna poi al riff iniziale in un continuo scambio di momenti emozionanti. La voce maschile domina il brano, indubbiamente, uno dei miei preferiti. Le influenze di generi diversi attraversano tutti i brani, come anche il tentativo di spingere al limite il genere principale. Come già detto, l’album è bello nella sua totalità, ma un’altra traccia da sottolineare è “No place for us”, caratterizzata da intermezzi di chitarra, orchestra e cori che aprono al ritornello cantato dalla voce femminile, insieme al growl, che si chiude con una sequenza di accordi tipicamente jazz che conducono al solo di chitarra melodico, per tornare al metal puro. Inoltre è da sottolineare il giro di basso, interessante in moltissime tracce, ma qui caratterizzato da uno slap persistente e coinvolgente che caratterizza il brano, principalmente nei momenti dei riff, introdotti da una batteria che rende chiaro che si sta pur sempre parlando di metal. Insomma, se non si fosse capito, è un album che vale la pena ascoltare, avere e perché no, regalare.
Vittoria Montesano