Iven

Iven

Dic 28

FIFTH NOTE “Here We Are”

FIFTH NOTE
“Here We Are”
(Frontiers Music s.r.l.)
release date: 08-12-2023
genere: hard rock
voto: 4.5

Line-up: Samuel Thapa - vocals, Khriekethozo Sekhose - guitar, Jubito Swu - bass, Rüüvolie Kire - drums, Sheduto Kezo - keyboards

Tracklist: Rider, Always Love You, Dreamer, Fantasy, I Won'’T Give Up, Here We Are, Misfortune, Falling Apart, Confused Trauma, Drifted, End Time’s

E' natale! Siamo pronti per i regali? Ma certo! Sappiamo tutti che, nonostante i nostri classici sbattimenti, ci ritroveremo con i soliti mutandoni della nonna e le calze di lana della zia. Sforzandoci di mostrare quel sorriso di finta gratitudine a quel parente che, dopo anni, ancora crede che il suo presente sia gradito, ci accingiamo a trovare appesi alla carta del pacco regalo almeno i fatidici 50 euro, che anche a 37 anni fanno comodo. Beh se questa cosa è capitata anche a voi, consiglio di spendere questi soldi per comprarvi quest'album, a sua volta già di per sé, un piccolo regalo da un paese inaspettato: i Fifth Note dalla lontana India! Questi rocker hanno preso vita a metà del 2019, partendo dalle basi originali di una band a tema cristiano, fino a trarre la maggior parte delle loro influenze da generi musicali secolari come Progressive Metal e Hard Rock classico, unendo perfettamente la raffinatezza del primo e la forza del secondo, regalando quindi melodie orecchiabili e un suono molto raffinato. Come molti colleghi del genere, i Fifth Note hanno iniziato eseguendo cover, ma nel corso degli anni, con il crescente interesse per la musica originale e la richiesta da parte dei fan, la band nel 2021 ha pubblicato gli inediti: "Misfortune" e "Here We Are"; diventando popolari in tutto il loro paese. La loro musica ha suscitato l'interesse dell'etichetta e il risultato è "Here We Are", il loro album di debutto. Il disco include anche i primi due singoli citati e un set di brani Hard Rock di ottima fattura con un tocco Progressive Metal, e lo scopo di promuovere musica divertente senza l'uso di droghe o alcol. L'album inizia con “Rider”, granitica e aggressiva; la voce sputa in faccia un ottima tecnica mentre le chitarre tessono una piacevole middle time dai suoni metal, cambio repentino per l'assolo e poi si torna lenti per un finale che richiama l'inizio. L'aggressività di questo primo pezzo lascia spiazzati quando “Always love you” fa capolino. Entrano in gioco i synth, per una semi ballad molto incalzante posta insolitamente in posizione 2 dell'album. Piacevole e romantica, di helloweeniana fattura. Pregevole costruzione dell'assolo. “Dreamer” aggiunge sbocchi sonori differenti, con un'apertura di chitarra secca e molto hard rock per rallentare sulla strofa facendo divertire la voce sempre graffiante. Ritornello melodico e potente, accende la voglia di cantare. Bridge centrale pre-solo con colori blues, affascinante: gli strumenti e la voce giocano tra loro in un crescendo di intensità fino allo sfociare chitarristico. Pausa. Grido. Fantastico! Si torna a un piacevole stile Helloween in “Fantasy” ma con una malinconia subito segnalata dall'apertura con pianoforte. Anche qui un ritornello melodico, forse un po melenso ma di ottima tecnica e fattura. I sinth in sottofondo legano il tutto alla perfezione e creano l'atmosfera perfetta per l'arrivo di “I won't give up”, la ballad per antonomasia. Dopo tentativi e splendide vie di mezzo, arriva con il giusto mix di occhi lacrimanti e cuori spezzati. Pianoforte a dettare legge mentre la voce regala passaggi malinconici. L'assolo di chitarra caldo e profondo è il preludio alla chiusura isterica e rabbiosa della voce! “Here we are” è la title track metamorfica: suoni molto pop e un filo anni 80, con sinth marcati e voce pulita, la chitarra rimbalza sui cambi quasi come non volesse disturbare troppo l'affinità della ritmica. Ritornello deciso ma morbido, poi cambio repentino a metà per introdurre un assolo tamburellante. “Misfortune” regala alle chitarre nuovo protagonismo, riportando la ritmica un po più dietro le quinte; voce pacata e lasciva. Ritornello sempre aperto e melodico, una garanzia. Bel gioco a metà tra chitarre e sinth nel creare un finale rallentato e granitico. “Falling apart” è interessante e ben costruita, con cambi all'unisono che accelerano e frenano, un vagone ben proiettato verso la stazione. Struttura sonora veramente di gran qualità, che mette in secondo piano la voce ma questa volta ne vale la pena! Il suono diventa più duro con “Confused trauma”, la voce di nuovo al centro, molto calda e lucida e poi improvvisamente secca e stridula. Cambio repentino strumentale nella fase centrale a rendere tutto molto progressive. Che dire di “Drifted”? Beh, questa canzone è un teatro vuoto e buio con il palcoscenico che ha solo un pianoforte illuminato da una fredda luce bianca. La voce regala il meglio di sé. Una preghiera da ascoltare in silenzio e con un pizzico di ammirazione. Chiudiamo con grinta e cattiveria! Chitarre e voce rabbiose per “End time's”, batteria che sfodera nuovo repertorio. Alzate il volume e rimettere il disco dall'inizio! E ancora e ancora! Grazie nonna! Non metterò mai i tuoi mutandoni ma quest'album me lo scolo nelle orecchie come fosse una bottiglia di ottimo prosecco per capodanno!

Iven

Dic 02

TEMPLE BALLS “Avalanche”

TEMPLE BALLS
“Avalanche”
(Frontiers Music s.r.l.)
release date: 10-11-2023
genere: hard rock
Voto: 4

Line-up: Arde Teronen - Vocals, Jimi Välikangas - Bass, Jiri Paavonaho - Guitar, Niko Vuorela - Guitar, Antti Hissa – Drums

Tracklist: All Night Long, Trap, Lonely Stranger, Stand Up And Fight, Prisoner In Time, Strike Like A Cobra, No Reason, Northern Lion, Dead Weight, Stone Cold Bones, Avalanche.

Ultimamente sono stato rinchiuso nel letto contro la mia volontà. Una serie di coperte e lenzuola mi ha avvinghiato come un'antica tortura cinese, fatta di impedimenti e necessità mancate. Cos'altro puoi fare quando il tuo corpo decide di non collaborare fino a tempi migliori? Semplice: guardi fuori dalla finestra. Ti accorgi quindi, giorno dopo giorno, che le stagioni, pigre e ritardatarie, arrivano e se ne vanno piano piano. Tocca all'inverno... A molti potrebbe ricordare il natale, la neve e altri consumistici passatempi sorridenti. A me fa venire in mente il tanto agognato circolo polare artico, con il suo freddo glaciale, il più alto tasso di suicidi del mondo, le ragazze di 2 metri e le renne (romantico a modo mio). Scegliamo quindi una band adatta a creare una colonna sonora compatibile con la mia situazione intestina; scrutando di copertina in copertina mi fermo ovviamente su un panorama innevato e il titolo in bella vista: Avalanche. Bingo! E di dove saranno mai questi Temple Balls? Ovviamente finlandesi. Mentre il disco scorre in sottofondo, veloce e spumeggiante come una sfida a palle di neve tra bambini “testosteronici”, scopri che i ragazzi che stanno suonando si sono dati parecchio da fare negli ultimi anni, aprendo gruppi come Sonata Arctica, Queen, Deep Purple e Uriah Heep, dimostrando di essere più che capaci di gestire situazioni di qualsiasi dimensione, che si tratti di un grande festival o del palco di un club locale. Il primo singolo ufficiale della band, "Hell and Feelin' Fine" è stato pubblicato nel settembre 2016 e ha ottenuto ampio spazio nel proprio paese. L'album di debutto è stato registrato in Thailandia nel maggio 2016 e ha visto la luce il 24 febbraio 2017 per mano di Tobias Lindell, noto per le sue collaborazioni con Europe, Mustasch e molti altri. Il 2017 è iniziato con un tour tutto esaurito in Finlandia, proseguendo poi in Giappone e Ucraina alla fine dello stesso anno. Dopo il loro tour in Giappone, i lettori della più grande nippo-rivista rock: Burrn!, hanno votato i Temple Balls come “la seconda speranza più brillante” e sono stati scelti come “The Newcomer of the Year” su Rock TV di Masa Ito. Il secondo album, “Untamed”, è uscito l'8 marzo 2019 e ha immediatamente ottenuto fantastiche recensioni, regalando un tour in Europa come supporto ai Sonata Arctica, consolidando la loro reputazione di potente live band. “Pyromide”, il loro terzo album in assoluto, è stato un tour de force di hard rock melodico che ha visto la band spingersi sulla scena mondiale. Il primo singolo di “Avalanche”, questo quarto album, è “Strike Like A Cobra”, pubblicato nel marzo del 2022 ed è stato accolto brillantemente dai fan e dai media, preludio d'effetto per l'intero disco, uscito nell'autunno del 2023. L'album inizia con “All Night Long”, sicuramente una partenza decisa, il riff è melodico e saltellante! Un'apertura degna di un live. Bella prova vocale anche se la ritmica risulta scarsamente essenziale. Il secondo pezzo, “Trap”, vira sul pop e i sinth si prendono un po' più di responsabilità. La voce rimane decisa e affascinante, perfetta, trascinante...da radio! Le chitarre armonizzano il riff principale e la voce le accompagna come a volersi preparare per il palco; poi spazio a un ritornello melenso, in senso buono però. “Lonely Stranger” vuole prendere tutti sotto un grande abbraccio, vibrando su suoni e atmosfere più anni 80, regalando un ritornello pomposo ma energico. Canzone fuori dai suoi tempi ma di buona fattura e ricca di grinta. Si diventa più decisi con “Stand Up And Fight” (già dal titolo lo si capisce), il riff di chitarra torna protagonista, il ritornello apre sempre in un grido pop melodico e gli strumenti man mano lo seguono fino all'assolo, dove la chitarra acida spezza la "malinconia" sonora. Voce di qualità! Inizio sinth in stile Lordi per questa “Prisoner In Time” che identifica possentemente il riff di tutta la traccia: si torna al pop rock anni 80, con voci melodiche ma di davvero ottima fattura, circondato da un tappeto sonoro preciso e curato. Pregevole l'ingresso nell'assolo, con una bella armonizzazione e un cambio di ritmica alla batteria. Un piccolo bridge che esalta un assolo piuttosto breve ma quanto basta per invocare l'ultimo ritornello. Come ad altalenarsi di canzone in canzone, entra in gioco il primo singolo del disco, “Strike Like A Cobra”. Tocca alle chitarre spiccare su tutto; dall'inizio fino all'entrata della voce, sfociante in un ritornello ricco di "controcori" (dai definiamoli così). Sicuramente la canzone più decisa, live per eccellenza. Da cantare con una pinta in mano come fossimo a Los Angeles con la nostra Harley. “No Reason” è la middle time ma nemmeno troppo, restano decisi i cori in sottofondo, mentre la voce principale fa scendere qualche mutanda in un ritornello ammiccante. Assolo deciso e incredibilmente hard rock, proprio quando forse non te l'aspetteresti. Ottima scelta! Eccola, “Northern Lion” è arrivata! La canzone da macchina che non può mancare in qualunque gruppo hard rock di qualsiasi latitudine: ritornello tirato, chitarre all'unisono, assolo forse un po' ovvio, ma diciamocelo: così deve essere in queste songs. “Dead Weight” cerca di allontanarsi dai dogmi precedenti: inizio che si diversifica per una ritmica alla batteria che finalmente acquista personalità; poi purtroppo, sfocia nel canovaccio classico: assolo melodico ma deciso e sound molto '80. Peccato. “Stone Cold Bones” è un po' ballad, un po' boyband primi '90 e un po' sigla cartone animato. Nonostante questa premessa vagamente supponente, la canzone scorre bene in un guanto di malinconia mentre le chitarre a metà canzone danno groove e passione, preludio di un finale grintoso. Orecchiabile. “Avalanche” è la title track di chiusura col botto! Veloce, melodica, ricorda gli "hardcore superstar" (per rimanere in scandinavia). Pochi fronzoli e tanta chitarra. Parte centrale da stadio gremito! Qualche fiocco di neve è sceso, passando davanti alla mia finestra senza soffermarsi più di tanto, per poi sparire per sempre nella pioggia caduta poco dopo. Il buio sta cominciando a farla da padrone e la giornata si conclude. L'ennesima giornata uguale alle altre, per una persona obbligata a stare sdraiato nel suo letto, ma posso dire che oggi, ascoltando “Avalanche” dei Temple Balls mi sono divertito.

Iven

Ott 02

PRONG “State Of Emergency”

 

 

Line-up: Tommy Victor (guitars & vocals), Steve Evetts (additional vocals & bass guitar), Marc Rizzo (lead guitar on „The Descent“), Griffin McCarthy (drums), Steve Zing (background vocals on “Back (NYC)”)

Tracklist: The Descent, State Of Emergency, Breaking Point, Non-Existence, Light Turns Black, Who Told Me, Obeisance, Disconnected, Compliant, Back (NYC), Working Man

Solitamente ascolto i dischi da recensire durante le mie ore di palestra: li ascolto un po così, senza molta attenzione, aspettando che sia la musica a richiamare il mio orecchio. Un riff, un passaggio. Poi arriva il secondo ascolto in macchina: dove mi soffermo su ogni singola canzone, analizzando voce e strumenti. Terzo ascolto: dove faccio considerazioni prima della stesura definitiva. Questa volta invece entro il palestra, attacco il disco, inizio a caricare i pesi sul bilanciere e a un certo punto ti accorgi che stai alzando più peso del solito e che stai facendo più colpi del solito! Cosa vuol dire questo?! Che il disco funziona! Subito, diretto, potente! I loro fan hanno dovuto aspettare sei lunghi anni per l'arrivo del nuovo album, non solo a causa della pandemia con le sue innumerevoli incertezze e sconvolgimenti, ma anche a causa di una serie di eventi piacevoli nella vita privata del cantante e chitarrista Tommy Victor. Ora i Prong sono tornati con "State Of Emergency", con la consueta irrefrenabile energia di un gruppo che è stato in prima linea nella scena metal dalla metà degli anni Ottanta. Il fondatore della band, Victor delinea la direzione stilistica delle undici canzoni e commentando il suo approccio artistico dice: “Mi piacciono tutti i tipi di musica, questo disco lo riflette totalmente perché copre molti angoli diversi”. Le canzoni sono state registrate da Tommy Victor insieme al produttore Steve Evetts (Sepultura, The Dillinger Escape Plan, tra gli altri). Sono brani che colpiscono fino in fondo per la loro intensità e il loro stile diversificato. Piccola nota di colore: l'artwork di copertina, definita dalla band la migliore di sempre, è un opera di Marcelo Vasco, che ritrae iconicamente la potenza dei mass media sulla nostra società. Andando nello specifico, l'album apre con “The Descent”, canzone efficace, deve essere la prima, un apripista sonoro molto deciso, semplice ma diretto, voce potente che sputa in faccia rabbia e aggressività, assolo veloce e preciso, rapido, senza troppi fronzoli. Poi arriva la canzone che dà il nome al disco: “State Of Emergency”, il tempo rallenta e la voce è ben scandita, chiara, ma anche molto decisa e poderosa; la classica canzone da gridare sotto il palco. Interessante l'introduzione all'assolo verso il minuto 2.30 che però forse viene un pochino lasciato a se stesso, poco curato. Il finale è panteriano. “Breaking Point” ha riff da singolo, pronta per il video e la radio. Bella l'apertura per il ritornello che rende la canzone morbida e orecchiabile; in questo caso, il solo fa da apripista per alzare i toni, dando grinta alla parte finale, altrimenti leggermente ripetitiva. “Non-Existence” è la canzone più hard rock del disco: parte con un incalzante riff che sfocia nella strofa 100% Prong per poi aprire verso un ritornello da autostrada terza corsia. Questa piccola peste sonora fa esaltare davvero parecchio! “Light Turns Black” inizia con un muro vocale che stenderebbe un esercito, un inno alle tenebre; poi la chitarra apre e la ritmica la segue, dando potenza a durezza fino al ritornello melodico e aperto. Assolo finale, veloce secco e deciso. Pochi fronzoli e tanta energia! “Who Told Me” è sulla linea della precedente, forse meno impattante ma più costruita. Piacevole influenza Slayer nel ritornello. Con “Obeisance” lasciamo il metal per un attimo spostandoci leggermente sull'hardcore: riff tagliente, batteria secca ed essenziale. Ritornello molto anni 90, questa volta niente assolo, proprio come in quel magico decennio. “Disconnected” ha un interessante cambio di stile, quasi beat inglese pur mantenendo un sound aggressivo che sfocia in un ritornello vagamente pop. Una canzone da singolo per antonomasia. Distorsione curata che segue una batteria più aperta sui tom e timpani, con meno pedale sotto. “Compliant” ci regala una bella linea sonora: la voce a volte sembra un po slegata con la musica, fino al minuto 3 dove un cambio repentino delle chitarre eleva tutto ad altro livello: più melodico e incalzante. Ritornello piacevole e quasi malinconico. “Back (NYC)” riff solido e potente. Voce che segue bene la ritmica, doppio pedale quanto basta e ritornello orecchiabile ed efficace, rallentamenti incisivi a creare delle belle montagne russe. Assolo molto exodus. “Workin man”: cover dei Rush ben rielaborata ma anche solidamente aggrappata all'originale. Cambio al minuto 2 che segue la trama originale ma ricorda anche chi siamo e da dove veniamo. Proposta forse scontata ma di sicuro impatto che regala molti ricordi ma una potenza sonora assolutamente personale. Rientro sul riff quasi sabbathiano, doom metal e prog insieme. Molto apprezzata. In conclusione, l'album viaggia veloce, potente e ricco di influenze e sfumature prese in prestito da gruppi coetanei del periodo metal anni 80 come Slayer, Exodus e altri; ma influenze che a volte sembrano piccoli tributi, come quando facciamo nostre le abitudini di un caro amico che frequentiamo ogni giorno. Ora però il disco è finito e i pesi che ho utilizzato fin ora adesso sono troppo pesanti. Forse è il caso di toglierli dal bilanciere prima che ci resto schiacciato sotto.

Iven

Set 17

ICON OF SIN “Legends”

 

 

 

Line-up: Raphael Mendes - vocals, Marcelo Gelbcke - guitar , Sol Perez - guitar, Caio Vidal - bass, Markos Franzmann – drums

Tracklist: Cimmerian, Night Force, The Scarlet Gospels, In The Mouth Of Madness, Heart Of The Wolf, Bare Knuckle, Wheels Of Vengeance, Clouds Over Gotham Pt.2 – The Arkham Knight, Terror Games, Black Sails And Dark Waters

Ah, il Brasile: le spiagge, i grandi campioni del calcio mondiale che palleggiano sui delicati e bianchi granelli bollenti, resi tiepidi dalla gelida spuma bianca dell'oceano; le favelas e il loro fascino, le grandi piazze dipinte dalle pavimentazioni geometriche, il carnevale e... Il rock'n roll! Cosa? Davvero? Ma certo! Nel paese dove gli Iron Maiden sono celebrati come autentiche divinità, c'è un mondo sotterraneo ricco di suoni grezzi e “cattivi” pieni di progressive e tante influenze heavy metal anni 80. Tra questa vasta foresta pluviale di scelta, il sottobosco underground offre un fiore acerbo, sotto alcuni aspetti, ma ricco di grande talento, il fiore si chiama ICON OF SIN. Icon Of Sin è una band incentrata carisma vocale del talentuoso e popolare fenomeno di YouTube Raphael Mendes, insieme ad altri due musicisti brasiliani stellari, Sergio Mazul (Semblant) e Marcelo Gelbcke (Landfall) che lavorano come cantautori e produttori. Questo sodalizio ha portato alla creazione di un secondo album, intitolato “Legends”, che arriva sulla scia del successo dell'album di debutto omonimo, pubblicato nel 2021. Questo disco evolve il concetto impartito nel primo album di forgiare e innalzare una vera e solida identità musicale della band. Ancora una volta, le canzoni mettono alla prova le capacità vocali di Raphael senza alcuna pietà, portando il suo innegabile talento a un livello musicale superiore. Gelbcke (questa volta anche come chitarrista solista) e Mazul hanno scritto un piacevole e convincente set di brani che, pur facendo razzia a mani basse da maestri come Maiden (in modo a volte fin troppo eccessivo), Priest, Dio, Saxon, offrono un album coinvolgente e contagioso al cento per cento. Un album che punta a portare la band al di fuori dei loro confini per iniziare a girare il globo con la loro potenza sonora e vocale. L'inizio sembra portare in quella direzione con “Cimmerian”, molto british e una ritmica prog, il sound è aggressivo ma melodico, la voce spinge a mille, dando un biglietto da visita incisivo e incalzante. Sale il livello con “Night Force”, la melodia è intensa, ottimi cambi di ritmica e suoni molto puliti e precisi. Il ritornello è avvincente, solo per palati fini! Quel sweep piking della chitarra è da intenditori! “The Scarlet Gospels” scende di velocità ma aumenta di intensità: come a stare su una collina nebulosa, pronti all'attacco prima della battaglia; la voce è intensa e gioca con le chitarre, riff decisi a scandire ogni istante prima della battaglia poi, al minuto 7, partire di forza e velocità giù dal dirupo con una doppia cassa a scandire la corsa dei soldati pronti alla guerra!!! POTENTE!!! “In The Mouth Of Madnes” abbassa un po' il livello, niente di particolare, un po di “Flight of Icarus” dei Maiden (forse un po troppo) un po di “Brave New World”, mescolare il tutto, si ottiene una canzone piacevole senza troppe pretese ma con ottime armonizzazioni di chitarra. “Heart Of The Wolf “ci fa tornare veloci e diretti: pochi fronzoli e poche variazioni, cassa prominente e voce molto tecnica a scandire una situazione altrimenti lineare. La semplicità aiuta. “Bare Knuckle” e “Wheels Of Vengeance” fan salire l'asticella e di e molto! Riff aggressivo e deciso con la voce che si interseca alla grande con la melodia. Ritmica incalzante che tiene altissimo il ritmo dando alle chitarre molta libertà di aggressione. Finalmente direi. “Clouds Over Gotham Pt.2 -The Arkham Knight” abbassa la velocità ma non l'imponenza sonora: iniziamo subito con una bella armonizzazione di chitarre poi la voce prende il sopravvento e si porta dietro tutti gli altri; il ritornello sembra un inno alla libertà, assolo di basso interessante che porta la melodia a un rallentamento coinvolgente, siamo su di giri. “Terror Games” ha una partenza anonima poi una buona crescita improvvisa con cambio di tempo per entrare nell'assolo. Stop e poi di nuovo a velocità superiore verso una seconda parte di assolo semplice ma imponente, doppia cassa a delineare l'arrivo e rientro sul ritornello. Da far sballare la testa! “Black Sails And Dark Waters”, puro Maiden nuova generazione. Middle time piena di consistenza, tanto suono, una canzone carica di adrenalina, corposa accelerazione improvvisa a circa metà con armonizzazione quasi celtica e la voce che segue questa idea, nota forse tra le più originali del disco, che esce dallo schema classico abbastanza statico anche se potente e ben gestito. Un disco sudamericano ricco d'Europa. Un vero e proprio “affronto sonoro” alla patria della samba ma che rende appieno l'idea di come il mondo ormai cosmopolita è felice di abbracciare influenze di tutti i generi in qualsiasi parallelo e meridiano. La venerazione verso il vecchio continente però, porta probabilmente i suoni e le idee a risultare un po troppo già sentite o vagamente stantie. Le capacità tecniche dei componenti, nessuno escluso, regala però un profumo ricco di speranza per il futuro e le nuove composizioni. Aspetteremo volentieri il nuovo fenomeno del calcio mondiale sulla bianca sabbia di Copacabana, chissà, magari questa volta avrà una chitarra al posto del pallone e un gilet di jeans al posto dei tacchetti!

Iven

Ago 27

LEAVES IN FLAMES “Individuum”

 

 

 

Line up: Leander Bussmann – vocals, Lennart Ryll – lead guitar. Janina Stähn – rhythm guitar, Phil Borkhardt – bass, Niklas Dorendorf - drums

Tracklist: Silence of the Night, Between Two Sides, Secret Little Fantasy, Rather Be A Dreamer, I Don't Want Much, I Wonder.

Bisogna adeguarsi ai tempi moderni, capire che le sgasate delle auto poderose anni '80 non ci sono più, ci sono ormai le ibride e le elettriche ma questo non significa che non ci si possa divertire ancora. I Leaves In Flames ci dicono proprio questo, ci divertiamo e facciamo casino in autostrada, ma rispettiamo i limiti e le altre auto a fianco a noi, anzi, talvolta prendiamo pure spunto e rielaboriamo con una modernità appagante gli stili di guida dei grandi piloti automobilistici del passato. I Leaves In Flames sono una band emergente nata nel 2018 dal classico rapporto tra compagni di scuola ma che ha già potuto sviluppare un album di debutto intitolato "Rolling The Dice", uscito nell'estate del 2021. Un mix non troppo invadente di hard rock e alternative di una band giovane e aggressiva, che abbiamo già potuto godere live nella loro patria natia, la Germania. Dopo tre singoli anticipati, questo "Individuum", un nuovo EP, si trova su tutte le piattaforme digitali già dal 4 agosto. La band commenta così il loro nuovo parto mentale: "l'idea per l'EP è nata per noi poco dopo il primo album nell'estate del 2021 ed è stato ancora una volta un tentativo da parte nostra di ottenere quante più sfaccettature possibili dalla nostra musica. Quando ascolti "Individuum" puoi sentire praticamente di tutto, dal classico hard rock dei Leaves In Flames, alle melodie pop, fino a un suono più alternativo”. “La cosa più importante per noi”, proseguono, “era catturare l'ascoltatore non solo musicalmente ma anche dal punto di vista dei testi. Pertanto, i temi delle canzoni spaziano dalla critica sociale, alla lotta contro la depressione, passando per una semplice gioia in una giornata estiva con gli amici”. E non stavano affatto scherzando, partendo già dalla prima canzone “Silence of the Night”, il suono molto beat ricorda l'indie rock inglese (davvero notevole per un gruppo tedesco) ma con più velocità e sound hard, senza dubbio la miglior canzone dell'album. Il ritmo è incalzante e l'ottima melodia fa muovere davvero bene la testa, forse pecca di poca chitarra e di un assolo incisivo, ne avrebbe fatto sicuro giovamento. “Between Two Sides” è una middle time con chitarre hard rock, la voce proiettata subito verso l'Inghilterra e i suoi miti, anche se in questo caso si vira in zona NWOBHM più che al pop inglese. Chitarra delicatamente gestita nell'assolo che si interfaccia ottimamente con il distorto tipico nelle sonorità più metal; se avesse più velocità sarebbe splendida come canzone da viaggio, provate ad ascoltarla durante un parcheggio pieno di grinta. “Secret Little Fantasy” torna a riff più pop, influenze quasi reggae ma quel bel inserimento di chitarre distorte rende tutto originale. Il pop della voce viaggia ancora una volta verso qualcosa di nuovo, assolo garbato e mai pesante, quasi a non voler disturbare. Passaggio lento verso metà della canzone che poteva forse essere sviluppato con più personalità, ma che sfocia in un finale piacevole e molto solare, cori in sottofondo divertenti e basso poderoso. Notevole! “Rather Be A Dreamer” è funky a più non posso! Voce più soft, tendente al soul anni 80, basso al centro del mondo e bei suoni a tambureggiare un ritornello che però (piccola pecca) sembra non voler volare mai. La voce torna bit pop, e un accenno di hammond distorce nuovamente le intenzioni musicali e genere di appartenenza. Nel complesso, canzone davvero piacevole. “I Don't Want Much” regala una chitarra anni 70 con un accenno a “Jumping Jack Flash” in chiave moderna, per poi virare su qualcosa di più aperto dove il basso pieno di fuzz prende il sopravvento sonoro. Ritornello da auto in corsa (questa volta su autostrada). Anche in questo caso, le chitarre inseriscono un assolo garbato, delicato, mai eccessivo. “I Wonder” è la canzone che mancava, ballata bagna mutande! Chitarra classica e voce da piacione fa da apripista al testo da spaccacuore. Nel complesso, un EP molto piacevole e versatile nelle idee e nei suoni, che comunque convergono sempre nella parte primordiale più british. Sicuramente un secondo album che fa ben sperare, da ascoltare in macchina ma non troppo veloce. Si accelera con calma, come se alla guida ci fosse nostro zio, quello Rock, che vive di ricordi di gioventù, tra Beatles e Rolling Stones, che indossa la giacca di jeans con le toppe, quelle dei gruppi musicali. Quello zio che vuole ancora strafare, ma sa che seduto a fianco c'è il nipotino a cui vuole bene e allora rallenta, per la tua sicurezza. Ringrazialo perché sta facendo un buon lavoro.

Iven