Ago 21

 

 

Line up: Matteo Mancuso Chitarre, Stefano India Basso, Giuseppe Bruno Batteria, Riccardo Oliva Basso, Gianluca Pellerito Batteria, Giuseppe Vasapolli Piano, Tastiere, Vincenzo Mancuso Chitarra

Tracklist: Silkroad, Polifemo, Falcon Flight, Open Fields, Drop D, Blues for John, Time To Leave, Samba Party, The Journey

In questi ultimi mesi sono tronfio di quello che mi è arrivato dalle labels come materiale da recensire italiano, o meglio, scritto e composto da artisti made in Italy. Tanto per capirci in questo ultimo periodo estivo ho avuto il piacere di lodare le gesta di Heel In The Club, Delirio and The Phantoms, Gabriele Bellini, tutti top albums che rendono gloria al nostro “paesello” da sempre relegato in secondo piano nel rock world rispetto allo strapotere straniero. Adesso ecco che mi spunta questo ventisettenne, Matteo Mancuso, siciliano doc e indiscutibilmente autentico prodigio della sei corde; qua siamo di fronte ad un talento come pochi, di quelli che “ne nasce uno ogni cent'anni” come narra un proverbio. Ma in questo caso proverbi e motti vanno lasciati stare poiché il qui presente figlio d'arte (suo padre Vincenzo Mancuso, chitarrista anche presente nel disco) sin dalla tenera età girava in lungo e in largo per la penisola a suonare (a dodici anni suonò al “Castelbuono jazz festival”.... non certo alla festa della birra!!! ...hehehe) e poi ha collaborato con tantissimi musicisti tra cui la PFM! La sua estrazione è chitarra classica e flauto traverso (diplomato) e poi si è sviluppata verso territori spiccatamente jazz e fusion. Da notare che su di lui hanno fatto lodevoli apprezzamenti gente del calibro di Al Di Meola, Steve Vai, Dweezil Zappa, Joe Bonamassa e Stef Burns. Cosa dire quindi? Onore e lode ad un giovane che si è dato alla musica in una delle sue massime espressioni a livello qualitativo tecnico/esecutivo e -anche- espressionistico. Il suo sound è molto particolare in quanto ha maturato una sua originale e particolare tecnica esecutiva con le dita. Difatti negli arpeggi, nei passaggi veloci, nei momenti di virtuosismo esasperato, riesce a “condire via” l'ascoltatore senza annoiare bensì fornendo quel pizzico di novità, freschezza compositiva e innovazione che solo i grandi della chitarra ci hanno saputo regalare negli anni. Questo è il debut album, tutto strumentale, che omaggia – se vogliamo fare un accostamento – i favolosi Dixie Dregs o i lavori solisti di Steve Morse. Rock fusion e jazz di prim'ordine con qualità inarrivabile per tantissimi e la capacità di passare da un genere all'altro con maestria ineguagliabile. Tutto questo viene mostrato nella superba “Drop D” (anche primo singolo estratto) dove il nostro passa da momenti fusion a un solo in chiave rock da antologia consacrando questa song come la più “rock oriented” di tutta la tracklist. Per il resto Matteo potrei definirlo senza paura di smentita il novello Allan Holdsworth italiano; in questo disco mi sembra di riascoltare passaggi di “The Sixteen Men of Tain”, uscito nell'oramai lontano 2000. Particolare anche “Open Fields”, suadente e ricca di pathos nei primi cinque minuti per poi accelerare nell'ultimo minuto verso un rock sostenuto e ficcante. Intrigante il blues di “Blues for John”, dove una chitarra indubbiamente bluesy spadroneggia su una ritmica di matrice jazz. Gioiellino. Ritroviamo poi l'anima di Holdsworth su “Time To Leave” e “Polifemo” mentre nell'opener “Silkroad” abbiamo sentori di Steve Vai. Un album per veri intenditori di musica, della chitarra e dei suoi mille colori ed emozioni che riesce a regalare.

Roby Comanducci

Ago 20

 

 

 

Line up: Stefan Nykvist - lead and backing vocals, Jesper Lindbergh - drums, rhythm guitar, keyboards, loops & soundscapes, Daniel Lykkeklev - bass, keyboards, Peter Lundin - lead and rhythm guitar

Tracklist: When All Lights Go Out, Blood From Stone, A Way Back, The Beginning of the End, Will You Find Me, Everdying Night, The Lion’s Road, Love Will Burn, Hope and the Sorrow, Throne Of Gold Part II – A Heartless Melody

Interessante secondo lavoro in studio degli svedesi Sarayasign che da pochi giorni sono usciti sul mercato con questo valido “The Lion's Road”, praticamente il seguito del primo album “Throne Of Gold”. Difatti le canzoni di questo disco – a detta loro - sono il seguito delle vicende, delle storie narrate sul debut album al che verrebbe da pensare ad un concept album ma, ad ascolto effettuato, lo vedo più un prosieguo, una evoluzione di quanto partorito sul disco d'esordio. Questo perché le canzoni non sono esageratamente intrecciate tra loro e amalgamate in modo da ottenerne il gaudio totale dopo l'intero ascolto qui, su “The Lion...”, le tracce possono essere ascoltate anche singolarmente. Stefan Nykvist comunque ci delizia – oltre che con la sua bella voce dotata di una timbrica leggermente roca e modulabile al punto giusto – con un'impeccabile interpretazione di queste canzoni/storie che narrano di mondi, universi, trascendenti il tempo e lo spazio e ambientati nell'immaginaria terra di 'Saraya', il tutto cullato in una cornice hard rock – a tratti heavy rock sinfonico – molto scrupolosa in fase di arrangiamento e con suoni pomposi e corposi al tempo stesso. Non saprei quale song scegliere – forse la sinfonica “Will You Find Me” con il duetto vocale con una female singer il cui nome non viene riportato nella product info del disco - poiché si elevano tutte su buoni livelli qualitativi; ecco, probabilmente, in questa ottica l'album soddisfa nella sua interezza e sono convinto che piacerà a diversi fruitori di buona musica.

Roby Comanducci