Line up: Ronnie Romero - vocals, Tony Hernando - guitars, Dani Criado - bass, Jo Nunez - drums

Tracklist: Prelude (Alchimia Confessio 1458 ad), Maker of nothingness, What's become of us, Bound to you, Before that time can come, Mind Killer, Death dealer, Prayers turned to whispers, In a different light, How long do I have now, Fated to be destroyed,  No hero is homeless, Sympathy

Dopo un anno tornano i Lords of Black con un disco appropriatamente indicato come la seconda parte del lavoro di un anno fa: cosa dire quindi di “Alchemy of souls, Pt II”? Iniziamo ricordando un paio di elementi giusto per inquadrare l’obiettivo di oggi: la band, di provenienza spagnola, ruota attorno al talento vocale del cantante Ronnie Romero, salito agli onori delle cronache in ambito metal grazie alla collaborazione nientemeno che con Ritchie Blackmore per i suoi Rainbow nel 2015. Sulla scorta di queste e diverse altre esperienza dei suoi membri, in particolar modo del chitarrista Tony Hernando, nasce la band che dopo un momento di pausa sforna tra l’anno scorso e questo una coppia di lavori decisamente di rilievo in ambito classic metal, con ampi spunti melodici ma senza perdere di grinta e immediatezza. Prima di analizzare il disco una menzione per il perfetto lavoro di produzione affidato a mr. Roland Grapow degli Helloween ancora, ottimo complemento al talento espresso dalla band. A mio avviso il buon lavoro iniziato con la parte I ha avuto un’ottima evoluzione, evidente dall’ascolto di insieme su questo disco. Il metal di stampo Judas Priest/Black Sabbath alternato a momenti più melodici è ora evoluto in un lavoro posto a metà strada, ma ove la presenza ampia di tastiere ed effetti non preclude i tempi marziali e i riffeggi potenti (ottimo esempio è “Death dealer”); certo è che le componenti strumentali tradizionalmente più associate ai lavori melodici, come quelle appena citate, sono ora ampiamente usate; ma il disco risulta avere un tono drammatico ed emozionale che si sposa perfettamente con lo stile decisamente aggressivo della maggior parte dei riff. Nel tutto risulta usata con un esito ottimo la qualità vocale del singer, che pur senza sfruttare appieno la propria potenza compie un ottimo lavoro espressivo nelle song. La qualità esecutiva è ottima e ribadisco il mio apprezzamento per la produzione, che sa far fruttare la qualità compositiva dei pezzi. Concludo ribadendo l’ottima qualità del disco, giusto risultato del lavoro compositivo e di evoluzione della band.

Nikki

Ott 12

ECLIPSE “Wired”

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Line up: Erik Mårtensson – vocals, Magnus Henriksson – guitars, Philip Crusner – drums, Victor Crusner – bass

Tracklist: Roses On Your Grave, Dying Breed, Saturday Night (Hallelujah), Run For Cover, Carved In Stone, Twilight, Poison Inside My Heart, Bite The Bullet, We Didn't Come To Lose, Things We Love, Dead Inside (CD and Digital Exclusive Bonus Track)

La band di Stoccolma formatasi nel 1999 ci regala, a poca distanza dal precedente e bellissimo “Paradigm” (che include il singolo “Viva la Victoria” con oltre 15 milioni di stream, nda), un graffiante e nuovo full lenght album, “Wired”. La band del cantante e fondatore Erik Mårtensson da anni ormai ci sta proponendo albums qualitativamente sopra la media ed il loro gusto per il refrain azzeccato, il riff che si conficca nella testa, il ritornello orecchiabile ma mai banale ed il sound mai troppo zuccheroso ed anzi sorretto da un guitar work d'eccezione, hanno fatto scuola. Come loro pochi hanno quel particolare gusto e maestria nell'incanalare la giusta e ruffiana commerciabilità ad una song senza però scadere nel suono edulcorato e nel melenso Aor ripetitivo e stantio. Questo “Wired” ne è un classico esempio; canzoni anthemiche, altre venate da quel sottile pop rock stuzzicante e radiofonico ed altre ancora autentici inni hard rock. Ammaliante il “giro armonico” della suadente (ma non un lento attenzione!) “Dead Inside”, il rock pulsante dell'opener “Roses on Your Grave” ma anche “Dying Breed”, come l'fm rock di “Run For Cover”, oppure l'anthem rock di “We Didn't Come To Lose”. Onestamente dovrei citare tutte le canzoni, non ce n'è una sola sottotono e, se proprio vogliamo dare la “lode”, direi che le due perle sono il singolo “Saturday Night (Hallelujah)” fantastica nel suo incedere hard e al contempo impreziosita da un ritornello fantastico e la tagliente “Bite The Bullet” sorretta da un guitar rock superlativo. Un album indiscutibilmente valido, tra le migliori uscite (finora) di questo 2021, che dovete assolutamente fare vostro!

Roby Comanducci