Line up: Tommy Lee: drums, backing vocals
Tracklsit: Knock Me Down (feat. Killvein), You Dancy (feat. Lukas Rossi), Ain’t Telling Me Nothing (feat. PAV4N), Soma Coma (feat. Shotty Horroh), When You Were Mine (Prince cover) (feat. Lukas Rossi), Hot Fudge Sundae (feat. Josh Todd), Caviar On a Paper Plate (feat. Mickey Avalon), Leave Me Alone (feat. Killvein), Demon Bitches (feat. Brooke Candy & Moon Bounce), P.R.E.T.T.Y. (feat. King Elle Noir),Tops (feat. Push Push), Make This Storm (feat. King Elle Noir), Make It Back (feat. PLYA), Tommy Lee (Tommy Lee remix) (feat. Post Malone & Tyla Yaweh)
Allora amici rockettari, mettetevi comodi, ben seduti e con calma , se volete, schiacciate “play” del vostro lettore cd per l'ascolto di “Andro” (album uscito ad Ottobre 2020 ma solo adesso in mio possesso...nda!!) Ammesso e concesso che stiamo parlando di uno dei batteristi più quotati dell'intero panorama rock mondiale. Ammesso e concesso che il medesimo drummer è anche colui che picchia le pelli in una delle band rock'n'roll più famose al mondo. Ammesso e concesso che il qui presente ed arzillo sessantenne è indubbiamente un pazzo scriteriato capace di mille peripezie non solo musicali. Beh. Dopo aver appurato tutto questo veniamo incontro alla nuova fatica in studio di Mr. Tommy Lee: “Andro”. Ok. Tommy è un TAMARRO, il dato è appurato e sappiamo tutti che il personaggio in questione è da sempre stato il più “stravagante” in quanto ad influenze e gusti musicali dei quattro della “Ciurmaglia Colorita”. Già in passato con la sua project band Methods of Mayhem, Lee andò ad accarezzare sentieri industrial/nu metal/rap, con anche un discreto risultato a mio modesto parere. Inoltre sappiamo bene l'amore del drummer per la “musica nera” da ghetto e di tutto quel mondo pazzoide e colorito che gli gira intorno. Infatti questo “Andro” non c'entra assolutamente nulla con il mondo rock (se non per alcune tracce) e men che meno con l'heavy ma anche l'alternative. Scordatevi tutto questo; il qui presente album è un accurato mix di dubstep, elettronica, hip hop, rap dove Lee si avvale della collaborazione di illustri ospiti del settore e cesella quattordici tracce una diversa dall'altra senza un filo conduttore ma, credo, una gran voglia di far casino registrando le sonorità a lui più care in questo periodo. Fare una recensione di questo disco su Cathouse è abbastanza insolito, ma al buon Tommy glielo devo/dobbiamo, non per altro per tutto quello che ha fatto coi Crue! Come dicevo in queste tracce c'è ben poco rock eccetto che per l'opener 'Knock Me Down', pezzo incazzato, duro e potente, rappato al punto giusto che rimembra qualcosa dei Korn e dei suoi vecchi Methods of Mayhem. Un altro brano che si lascia ascoltare piacevolmente è la bella “You Dancy” con alla voce Lukas Rossi (già con Lee in precedenti lavori), una sorta di dubstep con elettronica raffinata e una buona personalità. La terza traccia ascoltabile dai nostri “palati rock” è l'elegante cover del brano di Prince 'When You Were Mine' interpretata egregiamente dal già menzionato Lukas Rossi. Quarta traccia interessante è lo zuccheroso pop di 'P.R.E.T.T.Y.' impreziosito dalla bella interpretazione della female singer King Elle Noir. Se poi volete immergervi in atmosfere disco dance/elettroniche con rimandi a pop, trip hop e downbeat ascoltatevi 'Make It Back '. Gli altri pezzi presenti nel disco non li menziono poiché, anche se indubbiamente suonati con maestria per il genere proposto e con l'ausilio di ottimi session man (sempre del suddetto genere), sono troppo anche per chi, come il sottoscritto, ha vedute musicali abbastanza aperte. Ma questo è Tommy Lee. Prendere o lasciare. Album sconsigliato a chi vive di solo hard'n'heavy e/o di sonorita rock et similia. Se invece avete la “mente mooooolto aperta” e siete curiosi di ascoltare beh..... provateci!
Roby Comanducci
Line up: Don Tracey - vocals, electric guitars, acoustic guitars, piano, synthesizers, B3, backing vocals, percussion, Robert Wright - drums, percussion, bass, vocals, analogue synthesizers, backing vocals, additional guitars, strings
Tracklist: Camera obscura, Bones, Miss muse, Defenders of the faith, Daphne blue, When Amanda hits the stage, Man on a Island, Longer, Denslow park, Automaton, Illuminati, Who's that girl
I Save the world sono un interessante due americano, che include gli affermati session man e polistrumentisti Don Tracey (Alan Parsons Project) e Robert Wright (anche al lavoro come produttore e tecnico del suono), arrivato al secondo lavoro (dal titolo, diciamo, non molto originale) e che si esprime lungo le coordinate dell’Hard Rock/AOR con molteplici influssi, su cui spicca in modo netto un massiccia dose di prog 70s. Rispetto al primo lavoro la band non ha più il terzo elemento (il drummer Jon Wysoki), ma detto questo come procede la sperimentazione nel genere proposto? A mio parere decisamente bene, se intendiamo per la capacità compositiva che fa riuscir bene ai due musicisti il processo di creare una manciata di song molto caratteristiche, varie e coinvolgenti, che tocca tutti gli elementi da loro desiderati con freschezza e buoni spunti. Non stiamo neppure a discutere le ottime qualità dei due strumentisti e a mio parere la strutturazione delle song per adattarsi alle linee vocale, possneti ma aggraziati, è molto ben riuscita. Il disco vive di vari momenti ma in senso generale si cercano strutture aggressive, d’impatto, oppure “radio friendly” e ruffiane, il che ha fatto commentare come forse il primo disco fosse più sperimentale di questo. E’ probabile, ma non mi va affatto di squalificare il buon lavoro svolto. Spiccano in particolare il bilanciamento tra le tracce che le rende non ripetitive e non stancanti, come anche la già menzionata capacità di sfruttare appieno le qualità vocali dei due. Restano due punti di critica a mio modo di vedere; il primo è forse l’aver limitato proprio il carattere sperimentale che è alla base della band, ritrovandosi forse con una maggior quantità di pezzi più vicini agli ispiratori del genere. Di contro si può però dire che la qualità media è molto buona. Il secondo elemento di critica è la produzione, per me: non mi piace come diverse linee melodiche sono state rese (alcune ritmiche e a volte certe linee di tastiera), mi paiono poco pulite e riducono l’impatto delle melodie stesse. Per finire, si tratta di un buon disco? Direi certamente di sì, sia che siate grandi appassionati di AOR che no. Un buon album che si fa ascoltare volentieri molte volte senza stancare, con un livello compositivo molto buono, ve lo consiglio nonostante i difetti citati.
Nikki