Lug 30

 

 

Line up: Dennis Ward – vocals & bass, Michael Klein – guitars, Eric Ragno – keyboards, Pete Newdeck – drums.

Tracklist: Walk Away, The first time, Master of Illusion, The sun goes down, Paradise, The rhythm of my Life, Follow the sun, Father to son, After all this time, Victim of your love, Just let it happen

Un gradito ritorno quello che ho per le mani oggi da recensire (e mi scuso se, complice la confusione di quest’ultimo periodo, abbiamo atteso un poco per scrivere qualche riga su questo lavoro che trovate presso i principali canali di distribuzione già da qualche giorno), ovvero i Khymera, interessante progetto melodic/hard nato anni fa dalla collaborazione tra il produttore nostrano Daniele Liverami e l’ex Kansas Steve Walsh; dopo un periodo di pausa di circa un lustro, la band ritorna con dietro al microfono un’altra vecchia conoscenza, il bassista e singer Dennis Ward (Magnum, Pink Cream 69). La proposta che ci viene dalla band dell’esperto musicista statunitense prende a piene mani da un certo stile molto ruffiano e orecchiabile tipico del rock radio-friendly anni ’80, tuttavia sorprende al ripetersi degli ascolti perché dipana nel tempo le proprie caratteristiche risultando originale e non scontato mano a mano che ci si prende confidenza. Come ci si aspetta da un lavoro che cerca la melodia come primo ingrediente, le linee di effetti e tastiere sono quasi sempre in primo piano nel definire la struttura melodica dei pezzi; questo viene tuttavia fatto con impeccabile buon gusto, e nonostante il peso di tali ingredienti nel bilancio melodico sia assolutamente preponderante, non risultano mai eccessivi, e invece preparano una base melodica che viene ben sfruttata dalle altre linee strumentali e dalla voce. La parte ritmica innanzitutto, nonostante debba essere leggermente sacrificata per permettere il giusto risalto agli effetti, è comunque incisiva e non uno scontato accompagnamento, e il tiro offerto dal lavoro del drummer Pete Newdeck è decisamente notevole. Il lavoro della sei corde è abbastanza essenziale invece e si produce in una serie di riffeggi abbastanza classici e in parti soliste ottimamente suonate, ma che hanno il compito di fatto di fare da accompagnamento alle linee sonore già create. La produzione è assolutamente sopra le linee e la qualità dei suoni molto buona, con anche una certa attenzione a creare un buon insieme che sfrutti opportunamente le doti di Mr. Ward. La voce del frontman non è forse di quelle che immediatamente risaltano per il timbro originale, tuttavia ha una buona estensione ed esegue un buon lavoro di interpretazione in ciascun pezzo. Caratterizza infatti, direi, con ottimi risultati la sequenza dei pezzi, riuscendo in ciascuno di essi a dare un’impronta emotiva molto specifica. L’insieme prodotto dai singoli elementi descritti è decisamente ben riuscito, e anche nell’ambito di un genere che ha una lunga storia dietro di se riesce a colpire e emozionare gli ascoltatori. Quindi, cosa aggiungere ancora? Solo che si tratta comunque di un ottimo disco e non dovete farvi disilludere dal genere troppo “classico” o già ascoltato: è un disco con delle qualità notevoli che non tarderete a scoprire.

Nikki

Lug 31

 

 

Line up: Vinnie Moore – guitars, bass, keyboards.
Addictional musician: Rudy Sarzo – basso, Randy McStine – basso, Michael Bean - John Cassidy – keyboards, Jordan Rudess – piano, Richie Monica – drums, John Pesson – drums.

Tracklist: Funk Bone Jam, Same Sun Shines, Kung Fu Grip, Mystified, Brother Carlos, Gainesville Station, Soul Rider, Mirage, Heard You Were Gone, Across the Ages

Oh...ma guarda che bella sorpresa, a distanza di quasi un lustro dal penultimo “Aerial Visions” torna al full lenght album l'axe ero Vinnie Moore. Allora, non nego di avere una predilezione per tutto il mondo dei guitar heroes.... gli anni ottanta (quando scoppiò il boom dei velocisti dettato dal patron Mike Varney io compravo tutto quello che usciva) era il loro momento e il qui presente cinquantaseienne allora imberbe talentuoso diede alle stampe nel 1985 “Mind's Eye”, disco di assoluto livello ma che al sottoscritto non piacque moltissimo. Consideravo il buon Vinnie un clone di Malmsteen (ed in effetti lo era) e non mi ha mai affascinato nei suoi primi lavori solisti. Poi col passare del tempo ho apprezzato maggiormente il suo sound e sono quindi felice di poter constatare che in questo 2020 siamo qui a recensire album di questa musicalità e non solo grind, nu metal o metal sinfonico con cantanti donne che urlano in growl. Spezzo subito una lancia a favore di questo strumentale “Soul Shifter”: il nostro si è dedicato, miscelando nel migliore dei modi, a diversi stili quali il rock classico, il funk, l'heavy rock, il classicismo e – ovvio- in alcuni momenti hyper speed guitar. Da notare la presenza di una folta schiera di session man che hanno dato un prezioso contributo alla riuscita di questo disco anche se è sempre il nostro guitar hero, che qui suona anche basso e tastiere, a rendere l'album un piccolo scrigno di momenti magici. Si parte con la funkeggiante opener che è un eccelso biglietto da visita per poi seguire con la più classica e non eccezionale 'Same Sun Shine' mentre si rialza il tasso di adrenalina con la stupenda 'Kung fu Grip'; un mix di funky, rock, hard che deve qualcosa a Satriani e Vai ma è resa originale dal tocco del nostro che usa il wah-wah facendo emettere alla chitarra autentici vagiti ...quasi parole. Stupenda! La successiva 'Mystified' è lenta e sognante, giusto per rilassarsi un pochino come anche 'Brother Carlos' che però è più originale nella parte finale solista più ricercata ed elegante. Un altro pezzo sopra le righe è 'Gainesville Station', un heavy rock tagliente ma molto ruffiano ricco di fraseggi e riff che rendono il brano quasi ballabile e gaudioso, menzione particolare per lo sviluppo nella parte finale del solos di chitarra che duetta con le parti di piano! Si calmano gli spiriti con l'eufonica 'Soul Rider' e 'Mirage' per arrivare alla lenta ' Heard You Were Gone' elegante nell'esecuzione e nelle armonie anche se non fa gridare al miracolo. Chiude l'album 'Across The Ages' bella song dove il nostro da sfoggio alla sua bravura per convincerci che ancora oggi, in questo periodo assai sterile di emozioni, un bel disco strumentale può essere un regalo prezioso.

Roby Comanducci