Line up: Mike Tramp - vocal, electric & acoustic guitar, piano, Oliver Steffensen - lead guitar all songs, Claus Langeskov – bass, Morten Hellborn – drums, Soren Andersen - additional guitar, Jay Boe - hammond B-3, Marcus Nand -12 string acoustic guitar, 1st solo on “Back To You”, Emily Garriock Langeskov - backing vocals, Lars Rahbek Andresen - piano on “Highway”.

Tracklist: All Of My Life, The Road, Anymore, Come On, Between Good And Bad, Lay Down Your Guns, Highway, No Tomorrow, Back To You, When She Cries

Il bravo Mike Tramp, nel cuore di milioni di fans al mondo per i suoi trascorsi come ugola dei fantasmagorici White Lion, torna a distanza di poco dal predecessore al full lenght album solista e con questo sono 13 i solisti compreso anche quello live, più ovviamente quelli fatti con i Freak of Nature. Un album sicuramente da valutare con occhio differente poiché il nostro ci propina un lavoro altamente introspettivo nei testi (si rifà un pò alla sua vita e a esperienze e tematiche sociali) e assolutamente easy listening nelle musiche. Di 'hard' qui non c'è quasi nulla, il predominio lo hanno atmosfere leggere, ariose, semi-acustiche, ovattate, melanconiche (talvolta) tanto che per ascoltare una song più “dura” dobbiamo aspettare l'ottava traccia 'No Tomorrow'. Gradevole song senza però un vero mordente di base. In alcuni casi, prendete ad esempio 'The Road', sembra di ascoltare i REM; la classe non manca quindi, ma da lui mi aspettavo qulacosina in più sul versante hard. La sua voce e l'interpretazione che da alle sue composizioni è sempre di livello e questo è un punto a favore però alla fine il cd stanca. E' esageratamente soft, persino un album di Bryan Adams ci darebbe una scossa dieci volte superiore. Quindi cosa dire? Se siete in un momento particolare della vostra vita dove amate rilassarvi e stare con voi stessi l'eufonie di “Second Time Around” indubbiamente faranno al caso vostro, viceversa cercate adrenalina altrove.

Roby Comanducci

 

 

Lne up: Axel Rudi Pell – guitars, Johnny Gioeli – vocals, Ferdy Doernberg – keyboards, Volker Krawczatz – bass, Bobby Rondinelli – drums

Tracklist: The black serenade (intro), Gunfire, Bad reputation, Sign of the times, The end of the line, As blind as a fool can be, Wings of the storm, Waiting for your call, Living in a dream, Into the fire

Ed eccoci a recensire il nuovo disco di Axel Rudi Pell, giunto in questa fase, si spera, finale della pandemia a darci testimonianza della nuova prova dell’axe man tedesco. “Sign of the times” ne è il titolo e la premessa essenziale alla recensione … è che stiamo sempre parlando di Axel Rudi Pell. Di un virtuoso musicista teutonico e in quanto tale votato al pragmatismo e alla direttezza dell’esecuzione, così come, meglio dirlo, un certo conservatorismo musicale che lo ha portato a non spostare mai troppo nelle molteplici uscite discografiche le coordinate del suo genere. Genere nel quale, lo si può dire, si è sempre mosso con poca variabilità stilistica, ma di cui comunque approvo la leggera correzione operata in questo 2020, vale a dire: molto molto continuiamo a prendere dal mitico power/hard 70s, tra Judas Priest, i Deep Purple più epici e i Whitesnake (a cui sembrano prese in toto le linee di tastiere della opener “Gunfire”) e, sebbene chiaramente il virtuosismo alla sei corde sia ampiamente sfruttato, meno manierismo e uso della tecnica debordante e fine a se stesso. Se avete un minimo letto tra le righe, avrete capito che ho decisamente apprezzato questo lavoro, pur non rappresentando affatto una particolare innovazione nella pluridecennale carriera del musicista di Bochum. Anzi … tuttavia, personalmente cerco sempre, anche oggi che sono un vecchietto, di svariare tra i generi musicali, quindi il tornare ogni tanto sull’epic degli ARP, devo dire, in realtà è un’ottima abitudine (sì, i più astuti di voi avranno completato la frase come “un’ottima abitudine da tenersi ogni due anni, cioè la cadenza dei dischi da studio della band, ininterrotta dal, ehm, 1998…). Ma parliamo finalmente di musica. A mio modo di vedere, in questa nuova opera brilla ottimamente di luce propria la linea vocale di Johnny Gioeli, sempre a proprio agio nelle varie song e in grado anzi di orientale (creando l’atteso, ed è ovvio, effetto simil “canto-controcanto” con le linee alla sei corde di Axel). Mi sento di dire che la resa tecnica delle altre parti è a sua volta perfetta come del resto ci si aspetta da musicisti di altissimo spessore e luna esperienza come quelli con cui abbiamo a che fare. Ed è secondo me azzeccata anche la produzione, che rende al meglio tutte le linee musicali con ottima chiarezza e rende le canzoni, nonostante lo stile estremamente classicista, perfettamente moderne e di impatto. Lo stile è come detto molto classico e sarebbe ingenuo non menzionare il “citazionismo” sempre presente nel disco. Il lavoro di Axel, come ho già detto, è eccellente nel creare ottime ritmiche e divagazioni soliste eccellenti, senza strafare. Insomma, come detto si tratta di un lavoro di grande qualità e realizzato con buone idee e molta cura nella struttura delle canzoni e direi anche nella forma disco, bilanciata e che dà un buon ritmo all’ascoltatore. Che dire ancora? Che sicuramente i fan di ARP non saranno delusi, si tratta per me di un’ottima aggiunta alla sua discografia. E’ un buon lavoro ben suonato e correttamente pensato, e se vogliamo a questo punto l’unica pecca può essere proprio l’eccessiva cerebralità e raziocinio con un cui un’opera di ingegno e inventiva viene realizzata. Ma tutto sommato, è un difetto? La risposta, io credo, dipende da ogni ascoltatore. Aggiungo solo: peccato per il corso funesto di questo anno in tema di concerti live: sarebbe comunque stata un’ottima esperienza poter rivedere questa band dal vivo.

Nikki