Line up: Joshua Kiszka – vocals, Jacob Kiszka – guitar, Samuel Kiszka - bass, keys, Daniel Wagner - drums

Tracklist: Heat Above, My Way, Soon, Broken Bells, Built By Nations, Age Of Machine, Tears Of Rain, Stardust Chords, Light My Love, Caravel, The Barbarians, Trip The Light Fantastic, The Weight Of Dreams

Sono stato fra i primi a lodare le gesta di questi giovani musicisti del Michigan sin dal loro album d'esordio, autentica freccia infuocata diretta al cuore di un music world a volte fermo o ripetitivo. Poi, ovviamente, la divisione della cosiddetta stampa specializzata tra coloro che li additavano come i nuovi cloni degli Zep e altri che invece li consideravano gli araldi di un nuovo hard rock ricalcante le radici del genere stesso. Dopo tre anni ecco il seguito, il tanto atteso secondo full lenght album “The Battle at Garden's Gate” che mette a nudo la qualità e la direzione stilistica che stanno intraprendendo i fratelli Kizska; senza ombra di dubbio c'è stata una “sterzata” verso un sound più ricercato, più introspettivo, esclusivamente seventies, a tratti psichedelico e anche folk (in alcuni arrangiamenti) prediligendo una linea musicale più lenta e cadenzata con song avvolgenti, ricche di pathos ma scevre del mordente hard'n'roll degli inizi. Sul fattore clone direi che i nostri scivolano sollo nella (comunque bella) 'Built By Nations', dove fa capolino la band del “Dirigibile”, per il resto hanno, lodevolmente, optato per una ricerca stilistica che li differenzi sia da Plant che da altre band attualmente in auge nel panorama musicale. Credo ci siano riusciti o meglio, credo che siano sulla buona strada per ottenere una propria e particolare originalità. L'album è composto da tracce tutte di media lunga durata e per la sua totalità siamo sui 60 minuti di musica; un bell'azzardo di questi tempi dove, spesso, i fautori di musica prediligono sound più diretti, cattivi, brutali e di facile assimilazione e consumo. Già, questo “The Battle at Garden's Gate”non è assolutamente facile da “digerire” e ci vogliono diversi ascolti, magari comodamente seduti sul divano con cuffie in testa e un bel bicchiere di vino o birra, per potersi gustare le mille sfaccettature che questa band è riuscita ad inserire nella linea musicale di questo album. E' un disco assolutamente retrò che non regala nulla al modernismo ma si concentra su atmosfere dilatate, quasi sognanti e passaggi strumentali che inglobano l'ascoltatore facendolo prigioniero. Un esempio che calza a pennello sono i sette minuti di 'Age Of Machine' o i quasi nove (!!) della conclusiva 'The Weight Of Dreams'. Ci sono anche tracce più brevi e moderatamente più hard come 'My Way, Soon' ma il risultato di questo lavoro in studio si apprezza per la sua totalità e dopo un accurato ascolto. In definitiva, comunque, un album particolare che non passerà inosservato.

Roby Comanducci

 

Mag 17

 



Line up: Marc Labelle – vocals, John Notto – guitar, Justin Smolian – bass guitar, Corey Coverstone – drums

Tracklist: California Dreamin’, The Wire, Tied Up, Take My Hand, Gypsy, No Warning, The Morning, Another Last Time

Formatisi a Los Angeles nel 2017 i Dirty Honey vengono (a detta di alcuni) considerati la “risposta” ai bravi Greta Van Fleet. Due band con alcuni punti di “contatto”; la giovane età, il successo arrivato quasi immediatamente, il suono retrò e le matrici hard blues. Onestamente apprezzo entrambe le formazioni e credo possano convivere tranquillamente senza creare conflitti di alcun tipo. I qui presenti DH sono 'in giro' da solo tre anni ed anno un Ep alle spalle autoprodotto uscito nel 2019 e una miriade di concerti in lungo e in largo per il mondo di supporto ad artisti quali Alter Bridge, Guns n' Roses, Skillet e altri ancora. Il loro sound è un mix di potente hard rock e blues rock che prende a piene mani dagli anni settanta per il groove e strizza l'occhio agli ottanta per alcune parti più easy listening come la commerciale opener 'California Dreamin' (estratta anche come singolo, nda), senza disprezzare però alcuni suoni 'moderni' soprattutto nel guitar work. E per farvi ben capire quanto appena scritto ascoltatevi 'Take My Hand' che trasuda alternative rock di matrice fine nineteen ed inizio anni 'zero'; il suono saturo della sei corde e la corposità del brano come impatto rimembra qualcosa degli Audioslave, ovviamente con le dovute proporzioni. Se invece volete del sano hard 'n'roll bluesato e caricato ugualmente di adrenalina ascoltatevi 'Gypsy', oppure potete tornare a gustravi i seventies nelle brillanti 'No Warning' o 'Tied Up'. A differenza della band dei fratelli Kiszka i Losangeleni in questione di sicuro non scimmiottano Plant e soci ed hanno uno stile che, anche se simile, non disdegna certi (pochi) momenti dediti ad un rock più moderno. Non sarà il disco dell'anno ma sicuramente vale la pena averlo nella propria collezione.

Roby Comanducci

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