Roberto

Roberto

Ott 22

KANSAS “The Absence Of Presence”

 

 

Line up: Ronnie Platt - lead vocals and backing vocals, Rich Williams - electric and acoustic guitars, co-producer, Zak Rizvi - electric guitar, backing vocals, producer, Tom Brislin - keyboards, backing vocals, lead vocals on “The Song The River Sang”, David Ragsdale - violin, backing vocals, Billy Greer - bass, vocals, Phil Ehart - drums, percussion, co-producer

Tracklist: The Absence Of Presence, Throwing Mountains, Jets Overhead, Propulsion 1, Memories Down The Line, Circus Of Illusion, Animals On The Roof, Never, The Song The River San

La perfezione in musica, punto. I Signori, i Maestri del symphonic rock sono tornati al disco, il sediceso di una lunghissima carriera che partì nel lontano 1974 con l'omonimo album e ci ha regalato autentiche chicche, veri e propri masterpiece quali “Leftoverture” ('76), “Point of Know Return” ('77), “Vinyl Confessions” ('82) per poi approdare verso un symphonic rock più corposo e moderno con l'innesto di stilemi pompous, hard e aor da “Power” ('86) e l'ingresso del mostruoso Steve Morse alla chitarra per poi uscire con il capolavoro assoluto nel 1988 “In The Spirit Of Things”. Poi si è diradata la produzione di questa super band con solo due (ottimi) album nei nanities e dal 2000 ad ora solo tre compreso quest'ultimo che stiamo recensendo. Da segnalare che già dal precedente “The Prelude Implicit” (2016) la band è orfana del magnifico e (quasi) insostituibile Steve Walsh, l'ugola marchio di fabbrica del gruppo ma -anche se la cosa dispiace e non poco- a livello tecnico qualitativo ammetto che hanno trovato un degno sostituto nella persona di Ronnie Platt. Venendo appunto a quest'ultima fatica in studio la prima cosa che salta “all'oreccchio” è il marcato ritorno alle pure sonorita settantiane care ai nostri e riflesse al meglio in dischi quali i già menzionati “Leftoverture” ('76), “Point of Know Return” ('77), ma anche il superbo “Masque” del 1975; sembra quindi che la band voglia riscoprire al meglio le sue radici e riproporle in modo tale che, magari, anche i rockers più giovani, possano capire ed apprezzare il sound che li ha resi quello che sono. Le song sono solo nove ma tutte di una durata medio lunga e ridondanti eufonie ed atmosfere avvolgenti e sognanti unite a passagi strumentali da autentica “scuola della musica” che talvolta ammaliano l'ascoltatore e in altri casi irrompono con la loro aggressività stemperata da tinte prog (sempre presenti) e pulsanti di pomp rock sound che solo loro riescono così magnificamente ad estrapolare e proporre su disco. Bellissimi i passagi di tastiere e i solo di violino – un David Ragsdale in gran spolvero in questo album – e comunque non manca la chitarra e i passaggi hard con riff sopraffini del duo Williams- Rizvi. Non posso scegliere una canzone, farei un torto enorme verso le altre, essendo nove piccoli capolavori sonori, però vi consiglio spassionatamente di sedervi comodi, abbassare le luci, mettervi la cuffia, equalizzare bene il vostro stereo e far partire a palla il gioiello strumentale 'Propulsion 1', e poi mi direte. Da solo vale l'acquisto dell'album. Un album assolutamente imperdibile!

Roby Comanducci

Ott 10

RAMOS “My Many Sides”

 

 

Line-up: Tony Morra - drums, Fabrizio Grossi - bass, orchestration, Josh Ramos – guitars.
Vocals: Joe Retta, Tony Harnell, Danny Vaughn, John Bisaha, Harry Hess, Eric Martin, Terry Illous, Tony Mills. Michael T Ross - pianos, keyboards, Alex Alessandroni Jr – hammond, Eric Ragno - keyboards

Tracklist: Today’s The Day (Joe Retta on vocals), Unbroken (Terry Ilous on vocals), Blameless Blue (Danny Vaughn on vocals), Immortal (Tony Harnell on vocals), Same Ol’ Fears (Joe Retta on vocals), I've Been Waiting (Harry Hess on vocals), Moving On (John Bisaha on vocals), Forefather (Eric Martin on vocals), Too Good To Be True (Joe Retta on vocals), Ceremony (Instrumental),All Over Now (Joe Retta on vocals), I'm Only Human (Tony Mills on vocals)


Un gran bel disco questo debut solista del bravo e rinomato chitarrista di Hardline, Two Fires e The Storm. In questo suo solo project mette in bella mostra le sue doti chitarristiche posizionando sempre, però, la tecnica e il virtuosismo (che comunque c'è e si sente) al servizio della canzone; difatti non è un disco asettico di un qualsivoglia guitar hero, bensì un album a “tutto tondo” di un maturo e validissimo guitar player (ovvio, non aspettatevi svisate Malmsteeniane o fraseggi alla Steve Vai, non siamo a quei livelli, nda) che padrone del suo strumento cesella riff accattivanti, fraseggi di prim'ordine e quindi anche eccellenti solo. Notevole è la folta schiera di session man che hanno contribuito all'ottima riuscita di “My Many Sides”; per session man intendo i numerosi vocalist presenti, praticamente ogni song ha un interprete diverso (eccetto Joe Retta che canta in quattro tracce, nda) e persino una delle ultime interpretazioni del compianto e grande Tony Mills (ex Shy e TNT) scomparso a fine 2019. Molto bella e sentita l'interpretazione vocale dell'ex Mr.Big Eric Martin nella melodica e ammaliante 'Forefather' complici anche delle eccelse chorus lines. Un altro brano che si eleva è la strumentale dove il buon Ramos da sfoggio della sua bravura con una serie di solos ricchi di pathos, intense eufonie di base che creano un'atmosfera sognante ed eterea. Un ottimo suond che dimostra che l'importanza di sapere scrivere ottima musica è indirettamente proporzionale al virtuosismo puro, anche se su 'Ceremony' ce n'è da vendere, soprattutto nel finale dove i tecnicismi assalgono l'ascoltatore rimembrando echi di quel mostro di bravura che era il grande Gary Moore. Interessante l'incalzare dell'opener 'Today’s The Day' che parte con un solos apripista da vertigini e poi si sviluppa in un ottimo esempio di hard rock song, ma anche la pulsante e grintosa 'Moving On'. Sempre maestosa l'ugola del sublime Tony Harnell (ex TNT) che nella melodica 'Immortal' da prova di grande maturità e impreziosisce una song già di suo intrigante dove il guitar work di Josh riesce sempre a dare quel tocco di originalità che fa la differenza. Un bel lavoro, come dicevo ad inizio recensione, valido, maturo e suonato con maestria.

Roby Comanducci

Ott 08

BLACK ROSE MAZE “Black Rose Maze”

 

 

Line-up: Rosa Laricchiuta – vocals, Jeff Scott Soto - vocals on “Laws Of Attraction”, Alessandro Del Vecchio - bass, keyboards, Andrea Seveso – guitars, Michele Sanna – drums, Erika Ceruti - backing vocals

Tracklist: In The Dark, Laws Of Attraction (Feat. Jeff Scott Soto), Let Me Be Me, Free, Look At Me Now, Maze, Let Me Go, Only You, Earth Calling, You Can't Stop Me, Call Me Now


Un bel prodotto questo debut album della brava female singer Rosa Laricchiuta, cantautrice e perfomer da Montreal, Quebec. Venuta alla ribalta anche grazie alla partecipazione nel 2015 a “La Voix”, l'equivalente in Quebec del noto programma televisivo “The Voice”, grazie alla sua interpretazione vocale e alla sua eccellente timbrica. Poi diversi live tra cui tour di supporto alla Trans-Siberian Orchestra che l'ha lanciata e fatta notare in tutto il mondo. Infatti la Frontiers non si è lasciata scappare l'artista ed anzi, ha permesso la riuscita di questo ottimo full lenght album “Black Rose Maze”, prodotto, tra l'altro, dall'ormai onnipresente Alessandro Del Vecchio (Hardline, JORN, Revolution Saints ecc.). Il disco è fluido e potente al tempo stesso, siamo al cospetto di un classico hard rock senza contaminazioni dove la bella e soprattutto potente e tagliente voce di Rosa la fa da padrone; ascoltatevi la poderosa estensione su 'Let Me Be Me' ma soprattutto la coinvolgente interpretazione nella stupenda semi ballad 'Look At Me Now' ed anche nell'espressiva ed elegante 'Only You' votata ad un heavy rock che strizza l'occhio al grande Ronnie James Dio (come del resto anche altre tracce del disco, nda). Da segnalare l'ottima 'Laws Of Attraction' dove la singer duetta con il bravo Jeff scott Soto, brano eccellente! Undici tracks quindi per tutti gli amanti dell'hard'n'heavy classico con ottime dosi di energia e momenti più eufonici.

Band contacts

Roby Comanducci

Ott 19

MARK MAY BAND “Deep Dark Demon”

 

 

Line up: Mark May – guitars, vocals, Dan Cooper – bass, Kirk McKim – guitars, Clyde Dempsey - drums.

Tracklist: Harvey’s Dirty Side, BBQ And Blues, Back, Deep Dark Demon, Sweet Music, Rolling Me Down, My Last Ride, For Your Love, Walking Out That Door, Something Good, Invisible Man

Eccoci qua a recensire il settimo album di questo eccellente chitarrista blues proveniente dall' Ohio con una lunga gavetta alle spalle in tantissimi club in tutto il Texas dove ha potuto stregare tutti con il suo stile e la sua slide guitar. Mark cita Hendrix e Albert Collins come mentori ma io aggiungerei un poco di Carlos Santana. Ascoltatevi la stupefacente 'Back' e mi saprete dire. Dal ritmo latino insito in tutta la song allo sfociare nel guitar solo che prende atto dal grande maestro Santana ma riesce comunque ad essere originale e non una banale emulazione. Da ammirare il suo gusto nell'inserire un particolare guitar solo nel contesto di una song che anche da sola sarebbe comunque interessante e, sovente, lo “sfogo” dell'axe man vive di luce propria sfociando anche in inprovvissi 'stacchi' come nell'opener 'Harvey’s Dirty Side' dove la song rallenta del tutto per far fare fuoco e fiamme alla chitarra del buon Mark che alla fine va a riprendere la canzone. Altro guitar work da brividi lo troviamo nell'interessante blues rock di 'My Last Ride' dove spezziamo una lancia in favore della sezione ritmica e del supporto della band (grandissimi musicisti) che per tutto il disco danno un contributo fondamentale. Abbiamo anche momenti più easy, in bilico tra blues e soul con tanto di fiati come la bella ed intrigante 'For Your Love', mentre si va quasi a sfociare nell'hard rock settantiano su ' Walking Out That Door', song potente con ritmica pulsante dal groove pazzesco ed un guitar work e solos da brividi! “Deep Dark Demon” si conclude con un gustoso e sapientemente dosato e ammiccante funky rock 'Invisible Man'; è doveroso quindi ammettere che il disco non perde d'intensità nemmeno per un minuto ed ogni canzone è degna di nota. Un artista veramente interessante per tutti gli amanti del blues rock, dell'hard blues, del southern rock ed in definitiva della chitarra suonata con maestria, guizzo, originalità e tanta passione!

Roby Comanducci

 

 

Line up: Chrissie Hynde – vocals, guitars, James Walbourne – guitars, Martin Chambers – drums, Nick Wilkinson – bass, Carwin Ellis – keyboards.

Tracklist: Hate for Sale, The Buzz, Lightning Man, Turf Accountant Daddy, You Can't Hurt a Fool, I Didn't Know When to Stop, Maybe Love Is in NYC, Junkie Walk, Didn't Want to Be This Lonely, Crying in Public

Ma guarda cosa mi ritrovo per le mani: “Hate for Sale”, il nuovissimo e undicesimo full lenght album degli storici anglo-americani Pretenders (uscito se non erro in tarda primavera ma purtroppo solo adesso in mio possesso, nda) in auge dal lontano 1980, anno dell'uscita dell'omonimo debut album. Una vera istituzione, capeggiati dalla particolare voce dell'intrigante female singer e fondatrice Chrissie Hynde che, all'alba dei 69 anni, non demorde, è in ottima forma e, soprattutto, sentendola cantare su disco non le si darebbero più di quarant'anni....eh va beh, il rock fa anche questo. Dopo alcuni change di line up (purtroppo due forzati causa morte per droga del chitarrista James Honeyman-Scott e del bassista Pete Farndo... 1982-1983 se non erro, nda) ritroviamo qui una band che sprizza energia rock, con tinte leggermente pop e qualche iniezione dal punk inglese senza però mai esagerare, il tutto ben amalgamato dalla voce suadente e sensuale della nostra cantante; eh si, seppur matura Chrissie ha una voce ancora altamente sensuale. Rientra in line up il batterista originario ma i pezzi portano tutti la firma del duo Hynde-Walbourne e queste dieci tracce la dicono lunga sulla voglia di rockare di questo combo musicale. E' veramente un piacere ascoltare song come 'Maybe Love Is in NYC' commerciale al punto giusto ma assolutamente non banale, oppure il più elettrizzante rock'n'roll di 'Didn't Want to Be This Lonely', ma anche la dolce ballad finale 'Crying in Public' cantata con perizia e maestria con l'ausilio del pianoforte che rende il tutto più magico. La vena “punk” dei Pretenders invece esce diretta nella title track mentre un rock sfacciato e ribelle (che deve molto al periodo a cavallo tra fine seventies ed inizio eighties, nda) lo ritroviamo su 'I Didn't Know When to Stop' ed anche 'Turf Accountant Daddy'. Intrigante il reggae di 'Lightning Man ' mentre se volete una colonna sonora per un momento “particolare” ascoltatevi la bellissima semi ballad ' You Can't Hurt a Fool'. Gran bel lavoro questo “Hate for Sale” che ci riporta una band in perfetta forma nonostante quarant'anni di carriera.

Roby Comanducci