Roberto

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Ago 27

IAN PARRY ”In Flagrante Delicto”

 

 

Line up: Ian Parry – vocals, Patrick Rondat – guitar, Stephan Lill – guitar, Jeroen Van Der Wiel – keyboards, Casey Grillo – drums, Imre Daun – drums, Barend Courbois - bass

Tracklist: Spaceman, Travellers (Across The Unknown Universe), 3. In Flagrante Delicto, Fool’S Paradise, Impulse, Ingenious, Wish, Fly, The Day We Stop Dreaming, So Far So Good

Veramente carino ed interessante questo nuovissimo “In Flagrante Delicto”, quinto full lenght album dell'olandese singer Ian Parry (Kamelot, Elegy and more) che ci regala una serie di tracce in bilico tra l'hard rock, il pomp e un pizzico di progressive; sembra di ascoltare il bellissimo “Sleepwalking” dei mitici Magnum, band a cui questo album deve molto in quanto a struttura/sound/musicalità di base ma, precisiamolo, non c'è traccia di banali plagi bensì siamo al cospetto di un disco originalissimo, che ricorda certe sonorità ma vive di luce propria. Oltre alla bellissima ugola del leader vorrei farvi notare la presenza di un grande guitar hero, Patrick Rondat, autore di eccelsi album solisti ma questa volta dedito alla causa di questo album. Da segnalare anche l'ottima sezione ritmica e il pregevole keyboards sound del bravo Jeroen Van Der Wiel che contribuisce non poco al pathos e alla pomposità di tutte le tracce presenti. Si parte alla grande con 'Spaceman' dove il keys sound la fa da padrone e tesse una linea armonica fantastica mentre un corposo hard rock ci viene presentato nella successiva 'Travellers (Across The Unknown Universe)' e quindi la title track che, onestamente, varrebbe quasi da sola l'acquisto del disco. Iniziano synth e tastiere per dare un mood quasi pop che però viene iniettato da un potente riff di chitarra per poi far partire la song verso un pompous rock quasi epico nel suo incedere, stupenda! Un altro ruggente riff di chitarra apre 'Fool's Paradise' che poi si sviluppa in un altro ottimo brano rock, potente ma anche commerciale al punto giusto. 'Impulse' continua a farci sognare sempre sulle linee di un pomp rock che riesce a miscelare tanta melodia con un guitar work sopraffino. Non voglio dilungarmi oltre poiché tutto l'album è su un elevato livello qualitativo/compositivo e soprattutto sarà capace di farvi trascorrere un'oretta di puro gaudio musicale. Ottimo lavoro!

Roby Comanducci

 

 

Line up: Joe Bonamassa – guitars. The Sleep Eazys band includes: Anton Fig - percussion, Michael Rhodes, bass, Reese Wynans – keyboards, Lee Thornburg – trumpet, Paulie Cerra - saxophone, Jade MacRae and Juanita Tippins on background vocals. Others musicians: Jimmy Hall harmonica and multi-instrumentalist John Jorgenson.

Tracklist: Fun House (Danny Gatton), Move (Hank Garland), Ace Of Spades (Link Wray), Ha So (Jimmy Bryant), Hawaiian Eye, Bond (On Her Majesty’s Secret Service)(John Barry), Polk Salad Annie ( Tony Joe White), Blue Nocturne (King Curtis), It Was A Very Good Year ( Frank Sinatra)

E bravo Joe! Il qui presente virtuoso lo seguo da tanti anni ed ho avuto anche il “piacere” di intervistarlo (tra virgolette poiché si atteggiò un po' troppo da star...nda) un bel pò di anni fa nel periodo di militanza con Flash magazine. Il quarantenne è da sempre stato un piccolo genio ed era (e lo è ancora adesso) considerato come una delle ultime leve, uno dei nastri nascenti del firmamento hard/blues mondiale. Ovviamente questo ai suoi esordi su disco nel 2000 con l'impressionante lavoro “A New Day Yesterday” e ricordiamoci che in età adolescenziale partecipò ad un tour con nientepopodimeno che B.B. King (aveva circa 12 anni ...); un vero prodigio, cresciuto col verbo di BB King, S.R. Vaughan, ma anche coi maestri inglesi quali Jeff Beck, Gary Moore, Page, Gallagher. Adesso è divenuto un vero punto fermo per milioni di appassionati di rock, blues e dei suoi funambolismi con la sei corde. Se non erro questo è il suo diciottesimo album in studio, senza contare altrettanti live album e cinque lavori coi Black Country Communion. Bene, veniamo al dunque e apprestiamoci a scrivere di questa sua nuova fatica blues rock con la partecipazione dell'eccezionale The Sleep Eazys band che, tra l'altro, sono musicisti che lo accompagnano durante i suoi live tour. Diciamo subito che il suddetto album è un tributo al suo mentore musicale scomparso, Danny Gatton (chitarrista rock blues, country rock, rockabilly) ed infatti il disco parte con la cover di una sua canzone 'Fun House' che ci delizia con una superba sezione di fiati sempre accompagnata dalla sei corde del buon Joe. In tutte le tracce presenti (tutte cover) si mischiano mille influenze; dal blues al rock, dal jazz al beat con qualche accenno anni '60 in alcuni passaggi, da funambolici solos di chitarra a passaggi soft da club fumoso e buio di San Francisco. Un'altra stupenda cover di Hank Garland è la successiva 'Move' che parte con la linea musicale di un siparietto da cabaret per poi, su una base ritmica fusion, sviluppare un guitar work da cardiopalma; e se vogliamo la lode va data alla sezione ritmica che addirittura ci delizia con un drum solo di chiaro stampo jazz. Superba. 'Ace of Spades' riporta il nostro su stilemi prettamente rock anzi quasi 'garage' per questa cover di Link Wray, con un ottimo fraseggio di chitarra e un ritornello sicuramente degno dell'epopea del beat più “selvaggio”. 'Ha So' cover di Jimmy Bryant inizia con un particolarissimo giro di chitarra e si sviluppa in un rock blues ammaliante e ruffiano. La successiva ' Hawaiian Eye' è un rifacimento della colonna sonora di una serie tv dove Bonamassa ci delizia con una genialità straordinaria; unisce momenti di vigoroso guitar blues con passaggi lenti ed atmosfere da piano bar soavi e zuccherose. Grande, anche in questo brano, l'apporto della sezione fiati. Stupendo il lavoro fatto dal nostro nella cover di John Barry’s 1969 James Bond theme 'Bond (On Her Majesty’s Secret Service)', come anche del gaudioso rock blues di King Curtis 'Blue Nocturne' per poi finire con una rielaborazione di un classico lento di Frank Sinatra e Gordon Jenkins 'It Was A Very Good Year' eseguito maestosamente....da far venire la “pelle d'oca”. Un album che, pur non contenendo tracce originali, ci delizia con una esecuzione superba di cover song di artisti storici qui omaggiati da un autentico genio della chitarra. Grande disco!

Roby Comanducci

Ago 31

IN THIS MOMENT 'Mother'

 

 

Line up: Maria Brink – vocals, piano, Chris Howorth – lead guitars, chorus, Randy Weitzel – rhythm guitars, chorus, Travis Johnson – bass, chorus, Kent Diimmel – drums.
Guest musicians: Lzzy Hale ( Halestorm) – vocals on track 6, Taylor Momsen (The Pretty Reckless) – vocals on track 6, Joe Cotela ( Ded) – vocals on track 12

Tracklist: The Beginning (interlude), Fly Like An Eagle, The Red Crusade (interlude), The In-Between, Legacy, We Will Rock You (feat. Maria Brink, Lzzy Hale, Taylor Momsen), Mother, As Above So Below, Born In Flames, God Is She, Holy Man, Hunting Grounds (feat. Joe Cotela), Lay Me Down, Into Dust

Album sicuramente anomalo in questa sezione recensioni per quanto concerne gli stilemi musicali di questa band amaricana ma, come avrete letto nel mio profilo facebook, il Cathouse si occupa sì della rivitalizzazione del rock'n'roll ma anche, quindi, della valorizzazione di produzioni che, anche se un po distanti stilisticamente, valgono la pena di essere recensite. E questo è proprio il caso che calza a pennello. La band dell'avvenente Playmate, femme fatale e intrigante Maria Brink è dedita ad un rock alternative a tinte metalcore ed industrial con però soventi passaggi elettronici e d'atmosfera che, coadiuvati dalla bella e potente voce della singer, la dicono lunga sulla bravura dei nostri. Nati a Los Angeles nel 2005 questo “Mother” è il settimo album e, a mia insaputa poiché non li conoscevo benissimo, il loro sound mi ha letteralmente stregato. Maria ha una voce a tratti growl (poco) e per la maggiore pulita ed iniettata di potenza primordiale ma anche capace di farsi valere su temi pop-elettronici. E' assurdo il sound di questo album perché non è il solito gruppo con la voce femminile dedito magari ad un prog metal sinfonico; qui si toccano rock, elettronica, crossover, industrial con una semplicità disarmante e un'eufonia ed anche “commerciabilità” se vogliamo superlativa. L'album parte con un intro è la bellissima cover “Fly Like An Eagle” di Steve Miller che qui viene ri-arrangiata e resa sicuramente più pulsante ed ammaliante merito anche di un'interpretazione vocale della Brink sopra le righe. Un altro interludio e si riparte con 'The In-Between' dove l'elettronica la fa da padrone per creare un'atmosfera rarefatta sulla quale poi si carica un potente guitar work compresso e saturo al punto giusto che sfocia in rabbia controllata ma di chiaro stampo industrial. Stupenda è la lenta 'Legacy' che coi suoi sampler/effetti elettronici di base crea una magia sulla quale si inserisce il guitar work e una sezione ritmica pulsante ma, soprattutto, la voce fantastica della cantante. Arriva il momento della seconda cover 'We Will Rock You' (Queen) resa molto alternative con innesti elettronici (merito di Lzzy Hale, Taylor Momsen, nda) ma con un risultato finale più che discreto. La title track è un altro esempio di come anche un genere come questo riesca a pulsare di eufonie ed atmosfere ridondanti pathos e carattere. Stupenda. Si torna più cattivi con l'intrigante 'As Above So Below' mentre si calmano gli animi con la melodica, ipnotica ed ammaliante 'Born In Flames', altro piccolo gioiello di questo full lenght album. Segue una coppia di eccellenti song 'God Is She' e 'Holy Man' per arrivare al crossover a due voci featuring Joe Cotela della dirompente 'Hunting Grounds '. La penultima 'Lay Me Down' è un heavy rock ri-arrangiato con una punta di pop elettronico e un pizzico di White Zombie. Chiude il disco la cover “Into Dust” di Mazzy Star, lento eseguito al piano che regala una ulteriore sublime interpretazione vocale della bella e brava Maria. Sono rimasto indubbiamente colpito: questo è un disco da avere assolutamente a prescindere dai gusti personali, un album che potrei inserire in una mia ipotetica top ten dei dischi di questo nuovo 2020. Eccelso!

Roby Comanducci

Set 07

BIFF BYFORD "School Of Hard Knocks”

 

 

Line up: Biff Byford – vocals, Fredrik Akesson (Opeth) – guitars, Christian Lundqvist – drums, Gus Macricostas – bass.
Guest musicians: Phil Campbell (Motorhead) – guita, Nick Barker (Cradle Of Filth, Dimmu Borgir) drums, Nibbs Carter (Saxon) – bass.

Tracklist: Welcome To The Show, School Of Hard Knocks, Inquisitor, The Pit And The Pendulum, Worlds Collide, Scarborough Fair, Pedal To The Metal, Hearts Of Steel, Throw Down The Sword, Me And You, Black And White

Inutile che vi parli di Biff. Lui fa parte del metal, è uno dei fautori della NWOBHM, ha scritto (insieme ad altri grandi del suo tempo) la storia del metal classico, quello senza influenze, il primo , vero, incontenibile ed incontaminabile suono del metallo pesante! Purtroppo è reduce da un periodo brutto, da un intervento che lo ha debilitato per mesi ma adesso torna ancor più frizzante di prima con questo primo disco da solista dopo circa 40 anni di carriera!!!! Il disco è molto introspettivo sia musicalmente ma soprattutto a livello di liriche poiché il nostro riflette su se stesso e sulla sua vita. Coadiuvato da eccellenti strumentisti che hanno contribuito non poco a dare il tocco 'moderno' ad un album che, inequivocabilmente, rimarca canoni stilistici degli eighties ma sorretto da una produzione attenta ed attuale. L'articolazione, la struttura metrica delle song proposte è abbastanza raffinata e non semplice, con passaggi articolati, cambi tempo, contro-tempi, insomma un gran bel da fare per i musicisti; se volete un esempio lampante di quanto ho appena scritto ascoltatevi subito 'The Pit And The Pendulum' coi suoi 7'15'' di durata, traccia dalle mille sfumature che farebbe invidia anche ai Dream Theater. Bellissima. Tra l'altro prima di questa song c'è un interludio di un minuto e mezzo con chitarra semi-acustica sul parlato di Biff; onestamente è toccante sentire la voce di questo vecchietto saggio che la sa lunga sulla vita e sui mille colori del mondo..... Poi ci sono momenti sognanti come la ballad molto folk oriented 'Scarborough Fair' che ci riporta alla mente antichi castelli medievaleggianti ed atmosfere simili. Viceversa se volete ricaricarvi di elettricità la successiva 'Pedal to the Metal' è pronta a farvi saltare sulla sedia. Nell'album trova posto anche una eccellente cover “Throw Down The Sword” dei Wishbone Ash, eseguita magistralmente. Il resto lo lascio scoprire a voi. Musicisti come Peter 'Biff' Byford sono un patrimonio dell'umanità.

Roby Comanducci

Set 05

FIREWIND “Firewind”

 

 

Line up: Gus G. - guitars, Herbie Langhans – vocals, Petros Christo – bass, Jo Nunez - drums

Tracklist: Welcome To The Empire, Devour, Rising Fire, Break Away, Orbitual Sunrise, Longing To Know You, Perfect Stranger, Overdrive, All My Life, Space Cowboy, Kill The Pain

Il qui presente quarantenne Kostas Karamitroudis conosciuto da tutti come Gus G. è un eccelso e funambolico axe man della sei corde proveniente dalla Grecia e con all'attivo tantissime collaborazioni, tra cui citerei quella con Ozzy durata dal 2009 al 2017, ma anche Arch Enemy, Dream Evil, Mystic Prophecy, Nightrage, quattro album solisti e ovviamente questo dei Firewind che lo reputerei il suo progetto padre. Coi Firewind il primo album risale al 2002 (prima aveva fatto un demo nel 1998) e in circa vent'anni eccolo ancora in auge con un'ulteriore line up (...eh si......nel corso degli anni ha continuamente cambiato elementi, nda), ed un full lenght album nuovo di zecca con, tanto per cambiare, un nuovo lead vocalist. Ma tantè, siamo qui per capire la qualità di questo omonimo disco e, ammettiamolo, di classe ce n'è in abbondanza come anche energia e grinta. Questo “Firewind” è un album di heavy metal di stampo 'neoclassico' di chiara matrice eighties ed il paragone principale è l'accostamento con i primi due album di sua maestà Yngwie Malmsteen e i suoi Rising Force. Il guitar sound del buon Gus infatti è molto Malmsteeniano, dalle scale al modo di strutturare le canzoni e certe partiture care al Re Svedese. Non arriviamo ai livelli di Yngwie ma il qui presente guitar hero ha molte frecce al suo arco ed è una piacevole scoperta anche per chi, magari, finora non lo conosceva per nulla o poco. Bella anche la prova del nuovo cantante Langhans che in quanto a potenza tiene botta per tutta la durata del disco e si amalgama bene al genere proposto dando carattere ad ogni song. Il disco è quindi un robusto heavy rock-metal e già dalla 'pomposa' opener 'Welcome to The Empire' capiamo di che pasta è fatto questo lavoro in studio. La seguente 'Devour' ci ricorda proprio i Rising Force e strizza l'occhiolino a Mr. man in black, Blackmore, se valutiamo attentamente il guitar work del nostro axe man. In linea di massima tutte le tracce sono degne di nota senza cali di tono e di stile; forse un pizzico di originalità in più non avrebbe fatto male ma essendo un disco indiscutibilmente guitar oriented (perchè diciamocelo, la struttura armonico/compositiva della ritmica e le vocals con i rispettivi arrangiamenti sono li a supportare l'estro di Gus!) glielo perdoniamo. Carina, anche senza gridare al miracolo, è la lenta ' Longing To Know You', mentre echi del mitico Ronnie James Dio del periodo solista li troviamo su 'Overdrive'. Potente e martellante è 'Perfect Stranger' ma, se proprio devo scegliere la mia “preferita” opto sicuramente per il velocissimo up tempo della bella 'Kill The Pain', quasi al limite dello speed con una carica di un treno in corsa. Quindi, carissimi, se siete alla ricerca di un onesto heavy rock album molto eighties style dove impera il virtuosismo di chitarra questo disco è per voi.

Roby Comanducci


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