vittoria
THE NAIL
“The nail”
(Frontiers Music Srl)
release: 13 -09 – 2024
genere: heavy metal / hard rock
voto: 3
Line up: Girish Pradhan - vocals, Reis Ali Eroglu - drums, bass, guitars, Efe Eroglu – lead guitar. Additional musicians: guitars, organo hammond, keyboards, second voice - Cenk Eroglu, chorus - John Bisaha, chorus - Paolo De Santis, ghost vocals - Cem & Sevinc Keskin
Tracklist: Hit & run, The nail, No time to burn, Broken, Walk the line ballata, Soul screamer, Blackout (Popeye sin), Exorcist, Hangman’s noose hard rock, Underdog, Fall back now (ballad)
“The nail” è il primo album dell’omonima band, ma sembra già il prodotto di un gruppo esperto che ha prodotto e pubblicato altro. Invece il disco, in uscita il 13 settembre 2024, è il risultato della collaborazione del giovanissimo Ali, 17 anni e polistrumentista, nonché co-autore dell’album; di Efe, ventiseienne e già una leggenda del rock grazie alla sua chitarra, infatti è arrivato primo al “Monster of rock cruise shred contest” nel 2021, oltre che essere elogiato da artisti come Bumblefoot, John 5, Andy Timmons, Nuno Bettencourt e Reb Beach; e di Girish, personalità molto conosciuta nel mondo del rock per le sue doti vocali. Di origini indiane, ha già esperienza in spettacoli e concerti in Europa grazie ai tour con la sua band precedente “Girish & the chronicles”, oltre che essere stato scelto come cantante nell’ultimo album del gruppo hard rock “The end machine” con George Lynch e Jeff Pilson. Tornando a “The nail”, è un album che costituisce un mix equilibrato tra Hard rock e Heavy metal, guardando sicuramente alla tradizione delle band degli anni ’80, come i Sabbath e i Judas Priest. Nonostante ciò, alcune tracce risultano molto simili, sebbene siano ben costruite ed eseguite, come “Hit & Run” e “The Nail”. Interessante è “No time to burn”, carica di energia. Sicuramente gli amanti delle ballate troveranno quello che cercano verso la metà del disco, con “Walk the line” e poi in conclusione, con “Fall back now” che è una lunga outro che trasporta l’ascoltatore verso la fine dell’album. “Soul screamer” costituisce invece una delle virate più metal del disco ed è una delle tracce che raccomando di ascoltare insieme a “Blackout” perché sia per riff, stop e sperimentazione possono avere qualcosa di nuovo da dire e di inedito da far ascoltare, rispetto al resto delle canzoni, molto più classiche. Complessivamente “The nail” è un album che si lascia ascoltare molto bene, sebbene a tratti potrebbe essere necessario qualche skip.
Vittoria Montesano
POWERWOLF
“Wake Up The Wicked”
(Napalm Records)
release: 26 – 07 - 2024
genere: heavy metal
voto: 3.5
Line up: Attila Dorn – vocals, Charles Greywolf – guitars, Matthew Greywolf – guitars, Roel van Helden – drums, Falk Maria Schlegel - organo
Tracklist: Bless 'em With the Blade, Sinners of the Seven Seas, Kyrie Klitorem, Heretic Hunters, 1589, Viva Vulgata, Wake Up the Wicked, Joan of Arc, Thunderpriest, We Don't Wanna Be No Saints, Vargamor
Per chi stava aspettando un album heavy metal classico, ecco che sarà soddisfatto dai Powerwolf che hanno fatto uscire il 26 luglio il loro nuovo album “Wake up the wicked”. Una band riconosciuta come autorevole quando si parla di questo genere musicale, formatasi nel 2004, ma che non sperimenta molto in questo disco, anzi, rimane molto sulle stesse corde, in una zona di comfort. Ma questo è certamente un bene per i fidati fan che li seguono da molto tempo, perché si troveranno confortanti dalle caratteristiche sonorità della band che li farà sentire a casa! Questo album, inoltre, annuncia in qualche modo il grandissimo tour che la band farà sia in Nord America che in Europa poi, avvicinandosi veramente ai fan, quindi, con i live. Le tracce sono comunque ben eseguite e dimostrano le grandi abilità musicali, tecniche ed esecutive della band, semplicemente nel suo complesso l’album risulta privo di particolare movimento. Spiccano comunque sia il singolo “1589” che ha annunciato l’album, con una traccia ispirata a una storia vera del XVI secolo, sicuramente di portata monumentale, tratto comune dell’album, e con pause e dinamiche funzionali al racconto. Il disco si divide sostanzialmente in tracce più energiche e veloci, come l’apertura d’effetto data da “Bless ‘em with the blade” e altre più orchestrali e con una ritmica più lenta e che tende a creare più sospensioni sonore, come “Joan of Arc”. Si hanno anche tracce più conviviali, come “Viva Vulgata” che sono adattissime ai cori in previsione del tour, quando stadi e palazzetti potranno far sentire la propria voce. Insomma, si tratta di un album molto ben eseguito, dato che lo standard di partenza è molto alto e non ci si può aspettare qualcosa di deludente. È un album che si lascia comunque ascoltare, magari in un paio di riprese. Ad ogni modo la chiusura con l’ultimo brano, “Vargamor”, è certamente un coerente e oculato considerando l’intera composizione di “Wake up the wicked”. Per i fan, sono certa che questo album non sarà una delusione e per i nuovi ascoltatori sarà comunque una piacevole scoperta, a livello di fruizione sarete voi a decidere se sono stata troppo dura riguardo l’omogeneità dei brani! Per farlo, quindi, correte ad ascoltarlo, se non lo avete già fatto!
Vittoria Montesano
WOLFCHANT
“A Pagan Storm”
(Reaper Entertainment)
release: 16 – 08 - 2024
genere: folk/death/power metal
voto: 4
Line up: Nortwin – vocals, Skaahl – guitar, Seehb – guitar, Lokhi – bass, Ghust – drums
Tracklist: Growing Storms, A Pagan Storm, The Path, Midnight Gathering, A Wolfchant from the Mountain Side, Guardians of the Forest, Winterhymn, Stärkend Trunk aus Feindes Schädel, Voran, Feuerbringer, The Axe, the Sword, the Wind and a Wolf
Questa band tedesca, formatasi nel 2003, ci porta un album che è sicuramente rappresentativo del Folk e Pagan Metal, con delle tracce di Viking. Uscito subito dopo ferragosto, l’album è da recuperare in questi ultimi giorni di vacanza, quando si ha voglia di qualcosa di energico, ma il caldo ancora impedisce di uscire o ostacola molto le nostre energie… La traccia iniziale, considerabile quasi un cappello introduttivo, “Growing Storm”, ci accoglie nella pazzia nord europea, partendo a piena potenza con ritmi frenetici e facendo strada a “A Pagan Storm”, titolo sia dell’album che della prima vera traccia, in cui le chitarre ora armonizzano la voce, ora le fanno da contrappunto ritmico con accordi che trascinano il groove e a cui si sovrappongono voicing che fanno praticamente da seconda voce, oltre che diventare riff e motivo strumentale. Anche i cambi di tempo sono motlo d’effetto e si ritrovano lungo l’ascolto delle varie tracce (dettaglio sempre piacevole). Nella sua totalità l’album è molto piacevole e certamente adatto a chi non è disturbato dal growl prolungato, altrimenti è da considerare un po’ impegnativo, ma a mio parere, essendo comunque molto melodico, può costituire un buon tentativo di avvicinamento per chi solitamente preferisce evitare. La progressione e in generale la struttura delle tracce sono molto elettrizzanti e regalano piccole chicche ritmiche. È un album che certamente non concede troppi momenti di relax, ma è interessante proprio per la sua intensità costante, anche nelle tracce più lente, certamente non per questo più dolci, come nel caso di “A Wolfchant from the mountain side” che presenta variazioni armoniche molto divertenti e anche interessanti, spesso con echi assolutamente medievaleggianti e svuotamenti di suono che mettono in risalto le linee melodiche, prima che anche la ritmica rientri in dialogo sia con gli altri strumenti che con la voce, come in “Winterhymn”. Neanche il finale sembra concedere tregua al ritmo serrato deciso per l’intero disco, anche se sul finale la traccia, rimanendo strumentale, sembra ammorbidirsi leggermente per condurci verso la fine di questa tempesta pagana, da attraversare con forza e vigore, pronti a lasciarsi travolgere, ma arrivando fino alla fine del cattivo tempo, in modo da poter comunque raccontare, alla fine del viaggio, sia le bellezze che la concitazione.
Vittoria Montesano
SEVEN SPIRES
“A fortress called home”
(Frontiers Music s.r.l.)
release date: 21 – 06- 2024
genere: symphonic power, extreme metal
voto: 4.5
Line up: Adrienne Cowan – vocals, Jack Kosto – guitar, Peter de Reyna - bass
Tracklist: A Fortress Called Home, Songs Upon Wine-Stained Tongues, Almosttown, Impossible Tower, Love’s Souvenir, Architect of Creation, Portrait of Us, Emerald Necklace, Where Sorrows Bear My Name, No Place for Us, House of Lies, The Old Hurt of Being Left Behind
Vorrei iniziare con un’affermazione del bassista Peter de Reyna: “Questo album ti costruirà e ti distruggerà (…). Non potrei essere più orgoglioso della vita che è stata creata in questo nostro quarto disco. Gioite nell'angoscia, crogiolatevi nella gloria, e vi vedremo dall'altra parte”. In vena di citazioni, ecco quella di Adrienne Cowan: “Ho visitato il vuoto due volte mentre scrivevo questo album. Non so quale abbia generato l'altro. È brutto. Lo adoro e lo odio, e penso che sia il nostro miglior lavoro.”, mentre il produttore Jack Kosto, che si è anche occupato del mixaggio, avvisa chi segue la band perché se solitamente i Seven Spires portano a percorrere un viaggio emotivo, in questo album portano l’ascoltatore e a confrontarsi con il viaggio che loro stessi vanno a crearsi. Le tracce sono tutte molto interessanti e in generale l’album si fa ascoltare molto bene, soprattutto, incuriosisce a ogni brano, stupendo con l’equilibrio di costruzione dei brani, oltre che con la sensibilità delle scelte. La band di amici di sempre, formatasi a Boston nel 2013, è conosciuta per i suoi album concettuali e soprattutto per la propensione a spingere i limiti del genere, infatti le influenze arrivano, tra gli altri, da tutto lo spettro del metal, raggiungendo voracemente il jazz, la musica orchestrale e l’influenza cinematografica che crea paesaggi sonori ambientali. “A fortress called home” chiarisce immediatamente che stiamo ascoltando musica di qualità, preparando sia all’atmosfera dell’intero album che dichiarando la qualità di questa band. È un brano orchestrale equilibrato che trasporta direttamente alla seconda traccia, caratterizzata dagli archi e dal growl, insieme ai cori che aggiungono pathos, successivamente entra una batteria prepotente insieme alla voce femminile in una sinfonia che cattura e incuriosisce, perché ci si chiede cosa seguirà. A tratti ricordando le sonorità o il tiro degli Avenged Sevenfold, le arpe, i violini e le tastiere, a tratti anche fiati come il flauto traverso, creano intermezzi assolutamente perfetti in quanto contrastanti con l’aggressività di chitarre e percussioni. La voce di Adrienne Cowan può essere tanto angelica quanto aggressiva, strizzando gli occhi a un modo di cantare tipico del punk rock/pop punk. C’è una maestria nella gestione dei tempi e della costruzione dei brani, che permette dei crescendo e climax nei momenti giusti, come anche i tempi dimezzati, piuttosto che i soli tipicamente metal (a volte heavy) e soprattutto i momenti di svuotamento sono sempre al punto giusto, a volte caratterizzati anche da rumori bianchi. Ci sono tracce più aggressive, come “Impossible tower” che inizia con un riff di chitarra dalle sonorità metal e un tempo leggermente più lento rispetto alle altre tracce, che rimane invariato praticamente per l’intero brano, attribuendogli così una solennità che l’intero brano porta con sé. Si arriva a un ritornello in cui la sonorità, indiscutibilmente Epic torna poi al riff iniziale in un continuo scambio di momenti emozionanti. La voce maschile domina il brano, indubbiamente, uno dei miei preferiti. Le influenze di generi diversi attraversano tutti i brani, come anche il tentativo di spingere al limite il genere principale. Come già detto, l’album è bello nella sua totalità, ma un’altra traccia da sottolineare è “No place for us”, caratterizzata da intermezzi di chitarra, orchestra e cori che aprono al ritornello cantato dalla voce femminile, insieme al growl, che si chiude con una sequenza di accordi tipicamente jazz che conducono al solo di chitarra melodico, per tornare al metal puro. Inoltre è da sottolineare il giro di basso, interessante in moltissime tracce, ma qui caratterizzato da uno slap persistente e coinvolgente che caratterizza il brano, principalmente nei momenti dei riff, introdotti da una batteria che rende chiaro che si sta pur sempre parlando di metal. Insomma, se non si fosse capito, è un album che vale la pena ascoltare, avere e perché no, regalare.
Vittoria Montesano
VISIONS OF ATLANTIS
“Pirate II - Armada”
(Napalm Records)
release date: 05 – 07 - 2024
genere: symphonic metal
voto: 3.5
Line up: Clémentine Delauney – vocals, Michele Guaitoli, vocals, Christian Douscha – guitars, Herbert Glos – bass, Thomas Caser - drums
Track list: To Those who choose to fight, The land of the Free, Monsters, Tonight I’m alive, Armada, The dead of the sea, Ashes to the sea, Hellfire, Collide, Magic of the night, Underwater, Where the sky and ocean blend
“To Those who choose to fight” è un piccolo intro che preannuncia alcune delle atmosfere che saranno poi presenti in molte altre tracce. È un tipico utilizzo della prima traccia per preparare l’ascoltatore e introdurlo nell’atmosfera dell’album. Entra sicuramente nella top 3 dei miei brani preferiti dei Visions of Atlas, band attivissima nei festival, ma che in realtà ha conquistato praticamente tutta l’Europa e anche l’America. La particolarità che li caratterizza fin dal loro esordio nel 2000 è la presenza di due voci, femminile e maschile, che si alternano continuamente all’interno dei brani. Indubbiamente piratesco, questo album è perfetto per chi ama Folk, Symphonic ed Epic Metal. Una sorta di parte 2 dell’album “Pirates” in cui la band fa tesoro di quanto appreso e sperimentato nel primo progetto per spingersi oltre con questa Armada e proseguire il viaggio nei mari. Dall’unione di questa strana ciurma italiana, austriaca e francese, ecco che nasce questa avventura interessante da ascoltare dall’inizio alla fine “Tonight I’m alive” può essere tranquillamente considerato il classico perfetto per chi ama il genere, seguito dall’interessante “The dead of the sea”, caratterizzata da un’atmosfera imponente, da un bellissimo inizio di brano e da parti strumentali che evidenziano l’impianto orchestrale e coristico. “Ashes to the sea” entra a gamba tesa con la sua vena romantica, caratterizzata dal glockenspiel, dall’ocean e dagli archi, oltre che da una melodia vocale dolcissima e dalla cornamusa, che avvicina il brano al Folk Metal, come succede anche per “Magic of the night”, in generale più interessante di “Ashes to the sea”, per via dei vuoti e dei crescendo vocali e strumentali che creano un’atmosfera sognante, di attesa e sospensione per riprendere con stacchi percussivi che vanno a incrementare di ritmo fino ad unirsi ai cori e agli altri strumenti, inoltre sono sempre bene accette le parti strumentali. Il finale è una carezza che prepara all’emotivo brano successivo. “Hellfire” è più aggressiva, soprattutto nei cori che fanno entrare nel vivo dell’atmosfera piratesca e si sommano alla batteria, mentre la voce principale è più lirica. Gli stacchi e le pause sono potenti e con le armonizzazioni cupe preparano ad un assolo di chitarra un po’ troppo heavy metal per il contesto generale, mentre dello stesso tenore è il solo di “Collide”, però perfetto per quest’ultimo pezzo che, nonostante non sia uno dei migliori dell’album, anzi, risulta a tratti monotono, è comunque ben strutturato ed eseguito. “Underwater” è indiscutibilmente il brano più delicato dell’album e strizza l’occhio ad una melodia vocale pop che punta a imprimersi nella mente, unita a momenti di armonie tipicamente metal e altri classic rock. Tornano le tastiere, gli archi e le cornamuse con un intermezzo che riporta sul sentiero principale tracciato sin dall’inizio dell’album. Indubbiamente interessante l’ultimo brano, tutto da scoprire, di cui non anticipo nulla, avendo già parlato praticamente di tutte le altre tracce. È sicuramente un pezzo che racchiude tutto ciò che è stato ascoltato finora con influenze vocali che a tratti possono prendere dal punk e in altri si avvicinano a un uso più lirico della modulazione. Gli intermezzi musicali meritano di essere menzionati, ma per non aggiungere altro, scrivo solo che è un finale perfetto oltre che, probabilmente, la mia traccia preferita. In generale crescendo, pathos sia strumentale che vocale, rendono questo album piacevolissimo da ascoltare, sia secondo l’ordine delle tracce che in riproduzione casuale. Sebbene personalmente io abbia le mie tracce predilette, credo che l’intero album sia valido.
Vittoria Montesano