
Iven
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Line-up: Tommy Victor (guitars & vocals), Steve Evetts (additional vocals & bass guitar), Marc Rizzo (lead guitar on „The Descent“), Griffin McCarthy (drums), Steve Zing (background vocals on “Back (NYC)”)
Tracklist: The Descent, State Of Emergency, Breaking Point, Non-Existence, Light Turns Black, Who Told Me, Obeisance, Disconnected, Compliant, Back (NYC), Working Man
Solitamente ascolto i dischi da recensire durante le mie ore di palestra: li ascolto un po così, senza molta attenzione, aspettando che sia la musica a richiamare il mio orecchio. Un riff, un passaggio. Poi arriva il secondo ascolto in macchina: dove mi soffermo su ogni singola canzone, analizzando voce e strumenti. Terzo ascolto: dove faccio considerazioni prima della stesura definitiva. Questa volta invece entro il palestra, attacco il disco, inizio a caricare i pesi sul bilanciere e a un certo punto ti accorgi che stai alzando più peso del solito e che stai facendo più colpi del solito! Cosa vuol dire questo?! Che il disco funziona! Subito, diretto, potente! I loro fan hanno dovuto aspettare sei lunghi anni per l'arrivo del nuovo album, non solo a causa della pandemia con le sue innumerevoli incertezze e sconvolgimenti, ma anche a causa di una serie di eventi piacevoli nella vita privata del cantante e chitarrista Tommy Victor. Ora i Prong sono tornati con "State Of Emergency", con la consueta irrefrenabile energia di un gruppo che è stato in prima linea nella scena metal dalla metà degli anni Ottanta. Il fondatore della band, Victor delinea la direzione stilistica delle undici canzoni e commentando il suo approccio artistico dice: “Mi piacciono tutti i tipi di musica, questo disco lo riflette totalmente perché copre molti angoli diversi”. Le canzoni sono state registrate da Tommy Victor insieme al produttore Steve Evetts (Sepultura, The Dillinger Escape Plan, tra gli altri). Sono brani che colpiscono fino in fondo per la loro intensità e il loro stile diversificato. Piccola nota di colore: l'artwork di copertina, definita dalla band la migliore di sempre, è un opera di Marcelo Vasco, che ritrae iconicamente la potenza dei mass media sulla nostra società. Andando nello specifico, l'album apre con “The Descent”, canzone efficace, deve essere la prima, un apripista sonoro molto deciso, semplice ma diretto, voce potente che sputa in faccia rabbia e aggressività, assolo veloce e preciso, rapido, senza troppi fronzoli. Poi arriva la canzone che dà il nome al disco: “State Of Emergency”, il tempo rallenta e la voce è ben scandita, chiara, ma anche molto decisa e poderosa; la classica canzone da gridare sotto il palco. Interessante l'introduzione all'assolo verso il minuto 2.30 che però forse viene un pochino lasciato a se stesso, poco curato. Il finale è panteriano. “Breaking Point” ha riff da singolo, pronta per il video e la radio. Bella l'apertura per il ritornello che rende la canzone morbida e orecchiabile; in questo caso, il solo fa da apripista per alzare i toni, dando grinta alla parte finale, altrimenti leggermente ripetitiva. “Non-Existence” è la canzone più hard rock del disco: parte con un incalzante riff che sfocia nella strofa 100% Prong per poi aprire verso un ritornello da autostrada terza corsia. Questa piccola peste sonora fa esaltare davvero parecchio! “Light Turns Black” inizia con un muro vocale che stenderebbe un esercito, un inno alle tenebre; poi la chitarra apre e la ritmica la segue, dando potenza a durezza fino al ritornello melodico e aperto. Assolo finale, veloce secco e deciso. Pochi fronzoli e tanta energia! “Who Told Me” è sulla linea della precedente, forse meno impattante ma più costruita. Piacevole influenza Slayer nel ritornello. Con “Obeisance” lasciamo il metal per un attimo spostandoci leggermente sull'hardcore: riff tagliente, batteria secca ed essenziale. Ritornello molto anni 90, questa volta niente assolo, proprio come in quel magico decennio. “Disconnected” ha un interessante cambio di stile, quasi beat inglese pur mantenendo un sound aggressivo che sfocia in un ritornello vagamente pop. Una canzone da singolo per antonomasia. Distorsione curata che segue una batteria più aperta sui tom e timpani, con meno pedale sotto. “Compliant” ci regala una bella linea sonora: la voce a volte sembra un po slegata con la musica, fino al minuto 3 dove un cambio repentino delle chitarre eleva tutto ad altro livello: più melodico e incalzante. Ritornello piacevole e quasi malinconico. “Back (NYC)” riff solido e potente. Voce che segue bene la ritmica, doppio pedale quanto basta e ritornello orecchiabile ed efficace, rallentamenti incisivi a creare delle belle montagne russe. Assolo molto exodus. “Workin man”: cover dei Rush ben rielaborata ma anche solidamente aggrappata all'originale. Cambio al minuto 2 che segue la trama originale ma ricorda anche chi siamo e da dove veniamo. Proposta forse scontata ma di sicuro impatto che regala molti ricordi ma una potenza sonora assolutamente personale. Rientro sul riff quasi sabbathiano, doom metal e prog insieme. Molto apprezzata. In conclusione, l'album viaggia veloce, potente e ricco di influenze e sfumature prese in prestito da gruppi coetanei del periodo metal anni 80 come Slayer, Exodus e altri; ma influenze che a volte sembrano piccoli tributi, come quando facciamo nostre le abitudini di un caro amico che frequentiamo ogni giorno. Ora però il disco è finito e i pesi che ho utilizzato fin ora adesso sono troppo pesanti. Forse è il caso di toglierli dal bilanciere prima che ci resto schiacciato sotto.
Iven
Line-up: Raphael Mendes - vocals, Marcelo Gelbcke - guitar , Sol Perez - guitar, Caio Vidal - bass, Markos Franzmann – drums
Tracklist: Cimmerian, Night Force, The Scarlet Gospels, In The Mouth Of Madness, Heart Of The Wolf, Bare Knuckle, Wheels Of Vengeance, Clouds Over Gotham Pt.2 – The Arkham Knight, Terror Games, Black Sails And Dark Waters
Ah, il Brasile: le spiagge, i grandi campioni del calcio mondiale che palleggiano sui delicati e bianchi granelli bollenti, resi tiepidi dalla gelida spuma bianca dell'oceano; le favelas e il loro fascino, le grandi piazze dipinte dalle pavimentazioni geometriche, il carnevale e... Il rock'n roll! Cosa? Davvero? Ma certo! Nel paese dove gli Iron Maiden sono celebrati come autentiche divinità, c'è un mondo sotterraneo ricco di suoni grezzi e “cattivi” pieni di progressive e tante influenze heavy metal anni 80. Tra questa vasta foresta pluviale di scelta, il sottobosco underground offre un fiore acerbo, sotto alcuni aspetti, ma ricco di grande talento, il fiore si chiama ICON OF SIN. Icon Of Sin è una band incentrata carisma vocale del talentuoso e popolare fenomeno di YouTube Raphael Mendes, insieme ad altri due musicisti brasiliani stellari, Sergio Mazul (Semblant) e Marcelo Gelbcke (Landfall) che lavorano come cantautori e produttori. Questo sodalizio ha portato alla creazione di un secondo album, intitolato “Legends”, che arriva sulla scia del successo dell'album di debutto omonimo, pubblicato nel 2021. Questo disco evolve il concetto impartito nel primo album di forgiare e innalzare una vera e solida identità musicale della band. Ancora una volta, le canzoni mettono alla prova le capacità vocali di Raphael senza alcuna pietà, portando il suo innegabile talento a un livello musicale superiore. Gelbcke (questa volta anche come chitarrista solista) e Mazul hanno scritto un piacevole e convincente set di brani che, pur facendo razzia a mani basse da maestri come Maiden (in modo a volte fin troppo eccessivo), Priest, Dio, Saxon, offrono un album coinvolgente e contagioso al cento per cento. Un album che punta a portare la band al di fuori dei loro confini per iniziare a girare il globo con la loro potenza sonora e vocale. L'inizio sembra portare in quella direzione con “Cimmerian”, molto british e una ritmica prog, il sound è aggressivo ma melodico, la voce spinge a mille, dando un biglietto da visita incisivo e incalzante. Sale il livello con “Night Force”, la melodia è intensa, ottimi cambi di ritmica e suoni molto puliti e precisi. Il ritornello è avvincente, solo per palati fini! Quel sweep piking della chitarra è da intenditori! “The Scarlet Gospels” scende di velocità ma aumenta di intensità: come a stare su una collina nebulosa, pronti all'attacco prima della battaglia; la voce è intensa e gioca con le chitarre, riff decisi a scandire ogni istante prima della battaglia poi, al minuto 7, partire di forza e velocità giù dal dirupo con una doppia cassa a scandire la corsa dei soldati pronti alla guerra!!! POTENTE!!! “In The Mouth Of Madnes” abbassa un po' il livello, niente di particolare, un po di “Flight of Icarus” dei Maiden (forse un po troppo) un po di “Brave New World”, mescolare il tutto, si ottiene una canzone piacevole senza troppe pretese ma con ottime armonizzazioni di chitarra. “Heart Of The Wolf “ci fa tornare veloci e diretti: pochi fronzoli e poche variazioni, cassa prominente e voce molto tecnica a scandire una situazione altrimenti lineare. La semplicità aiuta. “Bare Knuckle” e “Wheels Of Vengeance” fan salire l'asticella e di e molto! Riff aggressivo e deciso con la voce che si interseca alla grande con la melodia. Ritmica incalzante che tiene altissimo il ritmo dando alle chitarre molta libertà di aggressione. Finalmente direi. “Clouds Over Gotham Pt.2 -The Arkham Knight” abbassa la velocità ma non l'imponenza sonora: iniziamo subito con una bella armonizzazione di chitarre poi la voce prende il sopravvento e si porta dietro tutti gli altri; il ritornello sembra un inno alla libertà, assolo di basso interessante che porta la melodia a un rallentamento coinvolgente, siamo su di giri. “Terror Games” ha una partenza anonima poi una buona crescita improvvisa con cambio di tempo per entrare nell'assolo. Stop e poi di nuovo a velocità superiore verso una seconda parte di assolo semplice ma imponente, doppia cassa a delineare l'arrivo e rientro sul ritornello. Da far sballare la testa! “Black Sails And Dark Waters”, puro Maiden nuova generazione. Middle time piena di consistenza, tanto suono, una canzone carica di adrenalina, corposa accelerazione improvvisa a circa metà con armonizzazione quasi celtica e la voce che segue questa idea, nota forse tra le più originali del disco, che esce dallo schema classico abbastanza statico anche se potente e ben gestito. Un disco sudamericano ricco d'Europa. Un vero e proprio “affronto sonoro” alla patria della samba ma che rende appieno l'idea di come il mondo ormai cosmopolita è felice di abbracciare influenze di tutti i generi in qualsiasi parallelo e meridiano. La venerazione verso il vecchio continente però, porta probabilmente i suoni e le idee a risultare un po troppo già sentite o vagamente stantie. Le capacità tecniche dei componenti, nessuno escluso, regala però un profumo ricco di speranza per il futuro e le nuove composizioni. Aspetteremo volentieri il nuovo fenomeno del calcio mondiale sulla bianca sabbia di Copacabana, chissà, magari questa volta avrà una chitarra al posto del pallone e un gilet di jeans al posto dei tacchetti!
Iven
Line up: Leander Bussmann – vocals, Lennart Ryll – lead guitar. Janina Stähn – rhythm guitar, Phil Borkhardt – bass, Niklas Dorendorf - drums
Tracklist: Silence of the Night, Between Two Sides, Secret Little Fantasy, Rather Be A Dreamer, I Don't Want Much, I Wonder.
Bisogna adeguarsi ai tempi moderni, capire che le sgasate delle auto poderose anni '80 non ci sono più, ci sono ormai le ibride e le elettriche ma questo non significa che non ci si possa divertire ancora. I Leaves In Flames ci dicono proprio questo, ci divertiamo e facciamo casino in autostrada, ma rispettiamo i limiti e le altre auto a fianco a noi, anzi, talvolta prendiamo pure spunto e rielaboriamo con una modernità appagante gli stili di guida dei grandi piloti automobilistici del passato. I Leaves In Flames sono una band emergente nata nel 2018 dal classico rapporto tra compagni di scuola ma che ha già potuto sviluppare un album di debutto intitolato "Rolling The Dice", uscito nell'estate del 2021. Un mix non troppo invadente di hard rock e alternative di una band giovane e aggressiva, che abbiamo già potuto godere live nella loro patria natia, la Germania. Dopo tre singoli anticipati, questo "Individuum", un nuovo EP, si trova su tutte le piattaforme digitali già dal 4 agosto. La band commenta così il loro nuovo parto mentale: "l'idea per l'EP è nata per noi poco dopo il primo album nell'estate del 2021 ed è stato ancora una volta un tentativo da parte nostra di ottenere quante più sfaccettature possibili dalla nostra musica. Quando ascolti "Individuum" puoi sentire praticamente di tutto, dal classico hard rock dei Leaves In Flames, alle melodie pop, fino a un suono più alternativo”. “La cosa più importante per noi”, proseguono, “era catturare l'ascoltatore non solo musicalmente ma anche dal punto di vista dei testi. Pertanto, i temi delle canzoni spaziano dalla critica sociale, alla lotta contro la depressione, passando per una semplice gioia in una giornata estiva con gli amici”. E non stavano affatto scherzando, partendo già dalla prima canzone “Silence of the Night”, il suono molto beat ricorda l'indie rock inglese (davvero notevole per un gruppo tedesco) ma con più velocità e sound hard, senza dubbio la miglior canzone dell'album. Il ritmo è incalzante e l'ottima melodia fa muovere davvero bene la testa, forse pecca di poca chitarra e di un assolo incisivo, ne avrebbe fatto sicuro giovamento. “Between Two Sides” è una middle time con chitarre hard rock, la voce proiettata subito verso l'Inghilterra e i suoi miti, anche se in questo caso si vira in zona NWOBHM più che al pop inglese. Chitarra delicatamente gestita nell'assolo che si interfaccia ottimamente con il distorto tipico nelle sonorità più metal; se avesse più velocità sarebbe splendida come canzone da viaggio, provate ad ascoltarla durante un parcheggio pieno di grinta. “Secret Little Fantasy” torna a riff più pop, influenze quasi reggae ma quel bel inserimento di chitarre distorte rende tutto originale. Il pop della voce viaggia ancora una volta verso qualcosa di nuovo, assolo garbato e mai pesante, quasi a non voler disturbare. Passaggio lento verso metà della canzone che poteva forse essere sviluppato con più personalità, ma che sfocia in un finale piacevole e molto solare, cori in sottofondo divertenti e basso poderoso. Notevole! “Rather Be A Dreamer” è funky a più non posso! Voce più soft, tendente al soul anni 80, basso al centro del mondo e bei suoni a tambureggiare un ritornello che però (piccola pecca) sembra non voler volare mai. La voce torna bit pop, e un accenno di hammond distorce nuovamente le intenzioni musicali e genere di appartenenza. Nel complesso, canzone davvero piacevole. “I Don't Want Much” regala una chitarra anni 70 con un accenno a “Jumping Jack Flash” in chiave moderna, per poi virare su qualcosa di più aperto dove il basso pieno di fuzz prende il sopravvento sonoro. Ritornello da auto in corsa (questa volta su autostrada). Anche in questo caso, le chitarre inseriscono un assolo garbato, delicato, mai eccessivo. “I Wonder” è la canzone che mancava, ballata bagna mutande! Chitarra classica e voce da piacione fa da apripista al testo da spaccacuore. Nel complesso, un EP molto piacevole e versatile nelle idee e nei suoni, che comunque convergono sempre nella parte primordiale più british. Sicuramente un secondo album che fa ben sperare, da ascoltare in macchina ma non troppo veloce. Si accelera con calma, come se alla guida ci fosse nostro zio, quello Rock, che vive di ricordi di gioventù, tra Beatles e Rolling Stones, che indossa la giacca di jeans con le toppe, quelle dei gruppi musicali. Quello zio che vuole ancora strafare, ma sa che seduto a fianco c'è il nipotino a cui vuole bene e allora rallenta, per la tua sicurezza. Ringrazialo perché sta facendo un buon lavoro.
Iven
Line-up: Scotty Hall – Vocals, Laurie 'Drill Sgt' Caudwell Drums/Vocals, Ollie Altham – Guitars, Cam Bland - Bass guitar
Tracklist: Rewind, Can't break this, Time to lose, Nah nah Fuck You, Middle Fingaz, Die Widda Brain, Nonce Killa
Ricordo da ragazzino quella sensazione fastidiosa che attraversa tutto il periodo preadolescenziale: la continua ricerca di una identità, una collocazione nel mondo. Poi arriva quel tuo amico un po più avanti, che ti porta quel disco, quello che fatichi ad ascoltare per paura di essere additato come un poco di buono, un drogato. Trovi il coraggio di metterlo su nell'ormai obsoleto lettore cd; la tua vita a quel punto è iniziata. Superati i primi imbarazzi, arriva il momento della scorpacciata: il giubbotto di pelle e la navigazione verso lidi più burrascosi. I miei anni erano i famigerati 2000, a 15 d'età, tolta la patina della mancanza d'identità, con la voglia di ribellione, si passava al Nu metal dei primi Korn e Limp bizkit (senza mai dimenticare i classici, sia chiaro, come Maiden o Metallica). Ascoltando questi Street Soldier, nonostante il sound molto hardcore, ho vissuto una stupenda sensazione di deja vu per lunghi tratti. Questi quattro ragazzi dalle sembianze cattive iniziano il loro viaggio nel 2018 con una breve clip dell'ormai iconico "Bully Basher". La band si è subito messa in mostra, per il sound molto aggressivo e i live ricchi di splutter e colpi di scena, tanto da essere banditi proprio nella loro città natale: York. Il loro modo di essere però, ha colpito i maggiori esponenti dell'hardcore, così da portarli in giro per l'Europa come spalla di gruppi come Desolated, Knuckledust, World Of Pain e molti altri. Molto di questo dipende dal cantante Scotty Hall, con i suoi testi ricchi di denuncia, rabbia e voglia di combattere, al solo tentativo di non lasciare impuniti coloro che deturpano questo nostro pianeta con atti di razzismo misoginia e dolore, in un turbinio di rabbia vocale. Ad abbinare l'energia di Scotty c'è la batterista/cantante Laurie "Drill SGT" Caudwell, che offre ritmi che riempiono la pista da ballo e stravaganti richiami di mosh in abbondanza. Aggiungi i riff imponenti del chitarrista Ollie Altham e il fragoroso basso di Cameron Bland, e avrai una forza distruttiva influenzata tanto dall'aspro hip-h op underground quanto dal gutturale death metal; oltre che, come detto, dallo schiacciante nu-metal degli anni d'oro. Anche se al centro di tutto questo ci sono quattro cose fondamentali. Forza, lealtà, disciplina e rispetto. Vivendo la vita al meglio e godendo ogni giorno come se fosse l'ultimo, il messaggio di Street Soldier è saldamente radicato nella positività. In questo loro Ep, intitolato Original Murda material, “Rewind” è il pezzo d'apertura; parte con una inaudita aggressività, verrebbe da dire troppa, in quanto alcuni eleganti passaggi tecnici potrebbero sfuggire ai primi ascolti. “Can't break this”, diventa più raffinata, seguendo linee più melodiche, quasi a tributare gli Slipknot di Subliminal verses (considerando la venerazione che ho per quell'album, è un complimentone), anche se lo stile aggressivo resta immutato. Con “Time to lose” torniamo selvaggi ma meno efficaci rispetto alle due tracce precedenti; limitarsi a un solo ascolto porterebbe però a perdere degli interessanti stop ritmici. La voce nella parte melodica tende a perdere un pò di tono ma ci pensa il basso a salvare tutto con un gran lavoro di ricamo in sottofondo. “ Nah nah Fuck You” è coraggioso e melodico, forse il miglior pezzo dell'album, uscendo completamente dagli schemi fin qui perseguiti, diventa un omaggio ai Beastie Boys. “ Middle Fingaz” suona molto anni 90, Limp Bizkit style. “Die Widda Brain” è lineare, senza troppi fronzoli, ma ancora qualche pecca nelle parti vocali melodiche, molto piacevole il minuto finale, con chitarre aperte che danzano assieme allo skretching del dj... sicuramente adatta a serate ballereccie con chiave luppolosa. “Nonce Killa” regala una batteria a tratti slayeriana. Interessante la variazione di dinamica tra la ritmica più lenta e l'accelerazione vocale. Il basso sempre protagonista nel dare spunti nuovi, in questo caso ben coadiuvato dalle chitarre. La voce è potente e aggressiva più che in tutti gli altri pezzi. La chiusura dell'album è da ricordare, con un finale cadenzato che suona come un saluto verso la prossima produzione. La voglia di gridare prevale sempre e il tentativo di variazione sulla melodia a volte stride un pò; quasi forzata o semplicemente non proprio nelle corde del cantante che, dalla sua però, ci insegna una cosa: non limitiamoci al giudizio distaccato e dozzinale nei confronti di generi o ideologie, perché nonostante l'apparenza poco curata e a volte aggressiva, questi musicisti sanno fare musica e hanno qualcosa da dire. Che sia d'insegnamento a tutti quei ragazzi in fase adolescenziale, ai quali viene detto che la musica dura e cattiva è per tossici e satanisti. Nulla di più lontano dalla verità, se a 15 anni sentite attrazione per quella musica che è vista male da nonni e genitori, chiedetevi, prima di pensare che sia sbagliato, se coloro che la odiano si siano davvero mai fermati a capirla. Perché il primo passo per non odiare è conoscere. Partiamo col farlo dalla musica.
Iven
Line-up: Bruno Ravel: Bass, Paul Laine: Vocals and Guitar, Rob Marcello: Guitar, Van Romaine: Drums
Tracklist: Hey Life, Go Big Or Go Home, 19 Summertime, What Are We Waiting For, Miracle, Against The Grain, So Good, Love Doesn’t Live Here Anymore, Another Time, Another Place, The Night To Remember, Nothing’s Gonna Stop Me No
A volte con un disco, nei negozi di musica, avrebbero dovuto regalare una confezione da 6 di lattine di birra. Purtroppo i negozi di dischi non esistono più e questo album avrebbe davvero meritato di essere sugli scaffali di ogni negozio con a fianco il giusto carburante per l'occasione! I Defiants hanno annunciato il loro ritorno con un nuovo album, il loro terzo in assoluto, "Drive", una fetta notevole di hard rock melodico. Paul Laine è tornato a lavorare con i suoi ex compagni di band ai tempi dei DANGER DANGER, Bruno Ravel e Rob Marcello, che sono gli altri due pilastri dei DEFIANTS, come per l'omonimo album di debutto della band. Il gruppo nasce su suggerimento di Serafino Perugino, presidente della Frontiers Music, e grazie alla label partenopea, nel 2016 esce appunto “The Defiants” il primo album del progetto, realizzato con il contributo di Van Romaine alla batteria. “The Defiants” è stato accolto con grande successo come un glorioso ritorno all'hard rock melodico degli '80 e '90, tanto da far caricare a pallettoni i romantici di quei gloriosi decenni. Nel 2019 Frontiers Music pubblica il secondo album della band, “Zokusho” (termine giapponese che sta ad indicare “nuovo capitolo” o “sequel”), realizzato con il contributo di Steve West alla batteria, anche lui di fama Danger Danger. Ora, dopo altri quattro anni di attesa tra un album e l'altro, i Defiants tornano con "Drive", forse il loro più grande successo musicale... finora. L'album risulta subito molto maturo anche se molte influenze anni 80 tendono a non inquadrare perfettamente una direzione ben precisa. “Hey life”, potente song di apertura, parte incisiva ma leggermente fuorviante rispetto al resto dell'album, che, anche se ricco di riff potenti, mantiene un sound sempre piu morbido, canzone dopo canzone. “Go Big Or Go Home” prosegue l'escalation verso la melodia, con chitarre potenti e un ritornello aperto e morbido, gli assoli incalzanti vengono però quasi soffocati dell'arrivo del singolo, “19 summertime” che si potrebbe sicuramente sentire in radio, con alcune sfumature pop e insieme a “Against The Grain” denota una piacevole quantità di influenze “bonjoviane” (il primo Bon Jovi ovviamente), soprattutto nell'impostazione vocale di Laine. “What Are We Waiting For” è un ulteriore cambio di influenze, con un sint di apetura (non nuovo nell'album ma sicuramente qui, più marcato che altrove) a delineare un suono di altri tempi, per poi svoltare in un ritornello quasi pop punk anni 90. Si torna indietro di 10 anni con “Miracle”, che regala nuovamente un tributo agli anni 80: cori e suoni ispirati ai Def Leppard. “So good” potrebbe anch'essa essere un singolo da radio estiva, con riff molto più pop, la voce morbida e coinvolgente contrasta la durezza della chitarra quasi come gustare dell'ottimo brie e spalmarci sopra del peperoncino, non per tutti! “Love Doesn’t Live Here Anymore” è il pezzo senza dubbio più ispirato del disco: ballad veloce e potente, un po come quando la tua fidanzata ti lascia e da bravi rocker non stiamo sul divano a mangiare popcorn ma aspettiamo l'arrivo del nostro migliore amico che suonerà alla porta alle 3 di notte con 2 birre (quelle che dovrebbero regalare con il disco) e guardandoci negli occhi ci ascolterà gridare, mentre gironzoliamo nel campetto da basket dove giocavamo da piccoli. In conclusione, un album che non spicca per originalità, con tantissime influenze prese dai grandi degli anni 80, ma che scorre bene dall'inizio alla fine, con suoni molto ben curati e una chitarra molto ispirata in tutti i pezzi! Un hard rock che non vuole insegnare niente a nessuno, vuole solo farti muovere la testa e saltare all'impazzata! E non è forse questo il vero senso della festa?
Iven
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