Roberto

Roberto

Ott 08

BLACK ROSE MAZE “Black Rose Maze”

 

 

Line-up: Rosa Laricchiuta – vocals, Jeff Scott Soto - vocals on “Laws Of Attraction”, Alessandro Del Vecchio - bass, keyboards, Andrea Seveso – guitars, Michele Sanna – drums, Erika Ceruti - backing vocals

Tracklist: In The Dark, Laws Of Attraction (Feat. Jeff Scott Soto), Let Me Be Me, Free, Look At Me Now, Maze, Let Me Go, Only You, Earth Calling, You Can't Stop Me, Call Me Now


Un bel prodotto questo debut album della brava female singer Rosa Laricchiuta, cantautrice e perfomer da Montreal, Quebec. Venuta alla ribalta anche grazie alla partecipazione nel 2015 a “La Voix”, l'equivalente in Quebec del noto programma televisivo “The Voice”, grazie alla sua interpretazione vocale e alla sua eccellente timbrica. Poi diversi live tra cui tour di supporto alla Trans-Siberian Orchestra che l'ha lanciata e fatta notare in tutto il mondo. Infatti la Frontiers non si è lasciata scappare l'artista ed anzi, ha permesso la riuscita di questo ottimo full lenght album “Black Rose Maze”, prodotto, tra l'altro, dall'ormai onnipresente Alessandro Del Vecchio (Hardline, JORN, Revolution Saints ecc.). Il disco è fluido e potente al tempo stesso, siamo al cospetto di un classico hard rock senza contaminazioni dove la bella e soprattutto potente e tagliente voce di Rosa la fa da padrone; ascoltatevi la poderosa estensione su 'Let Me Be Me' ma soprattutto la coinvolgente interpretazione nella stupenda semi ballad 'Look At Me Now' ed anche nell'espressiva ed elegante 'Only You' votata ad un heavy rock che strizza l'occhio al grande Ronnie James Dio (come del resto anche altre tracce del disco, nda). Da segnalare l'ottima 'Laws Of Attraction' dove la singer duetta con il bravo Jeff scott Soto, brano eccellente! Undici tracks quindi per tutti gli amanti dell'hard'n'heavy classico con ottime dosi di energia e momenti più eufonici.

Band contacts

Roby Comanducci

Ott 19

MARK MAY BAND “Deep Dark Demon”

 

 

Line up: Mark May – guitars, vocals, Dan Cooper – bass, Kirk McKim – guitars, Clyde Dempsey - drums.

Tracklist: Harvey’s Dirty Side, BBQ And Blues, Back, Deep Dark Demon, Sweet Music, Rolling Me Down, My Last Ride, For Your Love, Walking Out That Door, Something Good, Invisible Man

Eccoci qua a recensire il settimo album di questo eccellente chitarrista blues proveniente dall' Ohio con una lunga gavetta alle spalle in tantissimi club in tutto il Texas dove ha potuto stregare tutti con il suo stile e la sua slide guitar. Mark cita Hendrix e Albert Collins come mentori ma io aggiungerei un poco di Carlos Santana. Ascoltatevi la stupefacente 'Back' e mi saprete dire. Dal ritmo latino insito in tutta la song allo sfociare nel guitar solo che prende atto dal grande maestro Santana ma riesce comunque ad essere originale e non una banale emulazione. Da ammirare il suo gusto nell'inserire un particolare guitar solo nel contesto di una song che anche da sola sarebbe comunque interessante e, sovente, lo “sfogo” dell'axe man vive di luce propria sfociando anche in inprovvissi 'stacchi' come nell'opener 'Harvey’s Dirty Side' dove la song rallenta del tutto per far fare fuoco e fiamme alla chitarra del buon Mark che alla fine va a riprendere la canzone. Altro guitar work da brividi lo troviamo nell'interessante blues rock di 'My Last Ride' dove spezziamo una lancia in favore della sezione ritmica e del supporto della band (grandissimi musicisti) che per tutto il disco danno un contributo fondamentale. Abbiamo anche momenti più easy, in bilico tra blues e soul con tanto di fiati come la bella ed intrigante 'For Your Love', mentre si va quasi a sfociare nell'hard rock settantiano su ' Walking Out That Door', song potente con ritmica pulsante dal groove pazzesco ed un guitar work e solos da brividi! “Deep Dark Demon” si conclude con un gustoso e sapientemente dosato e ammiccante funky rock 'Invisible Man'; è doveroso quindi ammettere che il disco non perde d'intensità nemmeno per un minuto ed ogni canzone è degna di nota. Un artista veramente interessante per tutti gli amanti del blues rock, dell'hard blues, del southern rock ed in definitiva della chitarra suonata con maestria, guizzo, originalità e tanta passione!

Roby Comanducci

 

 

Line up: Chrissie Hynde – vocals, guitars, James Walbourne – guitars, Martin Chambers – drums, Nick Wilkinson – bass, Carwin Ellis – keyboards.

Tracklist: Hate for Sale, The Buzz, Lightning Man, Turf Accountant Daddy, You Can't Hurt a Fool, I Didn't Know When to Stop, Maybe Love Is in NYC, Junkie Walk, Didn't Want to Be This Lonely, Crying in Public

Ma guarda cosa mi ritrovo per le mani: “Hate for Sale”, il nuovissimo e undicesimo full lenght album degli storici anglo-americani Pretenders (uscito se non erro in tarda primavera ma purtroppo solo adesso in mio possesso, nda) in auge dal lontano 1980, anno dell'uscita dell'omonimo debut album. Una vera istituzione, capeggiati dalla particolare voce dell'intrigante female singer e fondatrice Chrissie Hynde che, all'alba dei 69 anni, non demorde, è in ottima forma e, soprattutto, sentendola cantare su disco non le si darebbero più di quarant'anni....eh va beh, il rock fa anche questo. Dopo alcuni change di line up (purtroppo due forzati causa morte per droga del chitarrista James Honeyman-Scott e del bassista Pete Farndo... 1982-1983 se non erro, nda) ritroviamo qui una band che sprizza energia rock, con tinte leggermente pop e qualche iniezione dal punk inglese senza però mai esagerare, il tutto ben amalgamato dalla voce suadente e sensuale della nostra cantante; eh si, seppur matura Chrissie ha una voce ancora altamente sensuale. Rientra in line up il batterista originario ma i pezzi portano tutti la firma del duo Hynde-Walbourne e queste dieci tracce la dicono lunga sulla voglia di rockare di questo combo musicale. E' veramente un piacere ascoltare song come 'Maybe Love Is in NYC' commerciale al punto giusto ma assolutamente non banale, oppure il più elettrizzante rock'n'roll di 'Didn't Want to Be This Lonely', ma anche la dolce ballad finale 'Crying in Public' cantata con perizia e maestria con l'ausilio del pianoforte che rende il tutto più magico. La vena “punk” dei Pretenders invece esce diretta nella title track mentre un rock sfacciato e ribelle (che deve molto al periodo a cavallo tra fine seventies ed inizio eighties, nda) lo ritroviamo su 'I Didn't Know When to Stop' ed anche 'Turf Accountant Daddy'. Intrigante il reggae di 'Lightning Man ' mentre se volete una colonna sonora per un momento “particolare” ascoltatevi la bellissima semi ballad ' You Can't Hurt a Fool'. Gran bel lavoro questo “Hate for Sale” che ci riporta una band in perfetta forma nonostante quarant'anni di carriera.

Roby Comanducci

Ott 21

DEEP PURPLE "(Whoosh!)"

 

 

Line up: Ian Gillan – vocals, Steve Morse – guitars, Don Airey – keyboards, Roger Glover – bass, Ian Paice - drums

Tracklist: Throw My Bones, Drop the Weapon, We’re All the Same in the Dark, Nothing at All, No Need to Shout, Step by Step, What the What, The Long Way Round, The Power of the Moon, Remission Possible, Man Alive, And the Address, Dancing in My Sleep

Ragazzi, cinquantadue (52) anni sono passati dal loro esordio “Shades of Deep Purple” e sono ancora qua, sono presenti ed ancora brillanti come solo dei miti viventi possono fare. Poche, pochissime band come loro: hanno inventato l'hard rock con l'insuperabile capolavoro “In Rock” nel 1970 e da allora la nostra cara musica ha seguito le direttive dei signori “Profondo Porpora”. Non li ha scalfitti l'abbandono del man in black Blackmore (chitarra e anima del gruppo), la scomparsa di un maestro dei tasti d'avorio come Jon Lord, anni di fermo, l'età che avanza....nulla. Ok, non saranno più a livelli stratosferici ma la classe non è acqua e nel loro caso non è evaporata in una nube, i Deep sono ancora qui a sfornare album degni del loro nome, magari non capolavori, ma assolutamente al di sopra della media delle uscite del settore musicale che tanto amiamo. Ecco quindi il nuovissimo “Whoosh!” a tre anni dal penultimo “Infinite” contenente tredici ottime hard rock song sapientemente scritte, arrangiate e, ovviamente, interpretate e suonate. Il Buon Gillan non si cimenta – ma è anche umanamente logico- in “gorgheggi” o estensioni come in passato, si limita a dosare il suo caldo tono ed ammaliare l'ascoltatore aggraziando ogni song con la sua immensa classe. Il tutto poi viene plasmato dall'incommensurabile guitar work di Mr. Morse, vero e proprio axe hero che è stato capace nel tempo di prendere il posto del bravissimo Ritchie e farsi ugualmente amare da milioni di fans. Bellissimo il suo lavoro complice il duetto alle keys di Don Airey (in gran spolvero su questo disco!) nella bella ' No Need to Shout', cosa che si ripete sovente in altre tracce di questo album tanto da farci ricordare i mitici “duelli” Blackmore-Lord. Vorrei sottolineare il momento clou che viene proposto dai nostri con 'Remission Possible' fantastica intro strumentale di un minuto e mezzo che si collega con l'ammaliante, pomposa, quasi progressive 'Man Alive'; un lavoro eccelso carico di mille sfumature, mille colori e suoni che avvolgono ed ipnotizzano l'ascoltatore. Bellissima! Altro esempio da 'grande scuola' è l'hard rock settantiano (beh...in questo disco i seventies praticamente aleggiano in quasi tutte le song, il sapore retrò di “Whoosh!” è notevole, nda) della strumentale 'And the Address' per poi arrivare alla conclusiva ed intrigante 'Dancing in My Sleep' che parte con un giro di tastiere elettronico e più moderno per poi svilupparsi in una song sicuramente originale e ricca di energia. Non vado oltre, poiché non ci sono canzoni 'potenzialmente scartabili', il quintetto l'ha combinata bella, ha creato un prodottino che farà la gioia di tantissimi rockers, un album senza pretese da masterpiece ma con il carattere di chi la sa lunga su come si fa buona musica.

Roby Comanducci

Ott 23

BUSH “The Kingdom”

 

 

Line up: Gavin Rossdale – vocals, guitars, Chris Traynor – guitars, Corey Britz – bass, Nik Hughes - drums

Tracklist: Flowers On A Grave, The Kingdom, Bullet Hole, Ghosts In The Machine, Blood River, Quicksand, Send In The Clowns, Undone, Our Time Will Come, Crossroads, Words Are Not Impediments, Falling Away

Era il lontano 1994 quando questa band sputò fuori in piena epopea grunge “Sixteen Stone” scalando le classifiche americane e vendendo oltre dieci milioni di copie, complice i singoli 'Everything Zen', 'Glycerine' e 'Comedown'. Nonostante al sottoscritto (e la cosa e strasaputa da tutti hehe) il mondo grunge non sia mai piaciuto molto, devo ammettere che questo gruppo inglese è sempre riuscito a ritagliarsi un posticino nella mia discografia personale; li ho sempre considerati insieme a pochi altri, un gruppo valido, con buone idee un'attitudine non espressamente autodistruttiva ed un robusto e granitico guitar work. Bene. Nel 2020 eccoli tornare dopo tre anni con questo nuovo e graffiante full lenght album che vede la presenza in line up oramai del solo cantante-chitarrista e fondatore Gavin Rossdale. “The Kingdom” si presenta bene, ha il suono energico forse più che agli esordi, ha una buona produzione e soprattutto non stanca ed anzi, garantisce forti scosse di adrenalina. Esempio lampante è il corrosivo groove metallico della title track, capace di far pogare vostra nonna in salotto con la scopa sotto il braccio! Un basso pulsante e claustrofobico accompagna il guitar work e la voce del sempre bravo Gavin nella corposa 'Bullet Hole'. Un 'riffone' pesante, saturo e corposo di chitarra apre 'Blood River' che si sviluppa in un sound cadenzato ma potente e di forte impatto. Eccellente song! Ma su questa linea troviamo anche altri ottimi esempi di alternative rock roccioso con la giusta dose tra saturazione sonora e melodia di base; 'Quicksand', 'Send In The Clowns' e 'Words Are Not Impediments' sono li per dimostrarlo. E bravi Bush, bravo Mr. Rossdale che è riuscito da solo a riformare un combo musicale con ottimi musicisti e, soprattutto, complimenti per la freschezza del prodotto che ha mantenuto il suono sicuramente giovane ed iniettato di una notevole forza d'urto. Fatelo vostro!

Roby Comanducci