Items filtered by date: Ottobre 2020
Giovedì, 22 Ottobre 2020 21:23

DAVID GRISSOM “Trio Live 2020”

 

 

Line up: David Gris

som - guitar and vocals, Bryan Austin – drums, Chris Maresh - bass tracks 1, 2, 3, 5, 6, Glenn Fukunaga - bass tracks: 4, 7, 8

Tracklist: Lucy G., Crosscut Saw*, Way Jose, Don't Lose Your Cool*, Never Came Easy to Me,In The Open*, Sqwawk, Boots Like To Boogie

Purtroppo solo ora ho per le mani questo gioiellino musicale, il nuovo disco solista -questa volta live- del maestro David Grissom, stiamo parlando del nuovo “Trio Live 2020” (uscito se non erro nel mese di Maggio ma....meglio recensirlo tardi....che mai hehehe). Il live è stato registrato in una delle sue consuete serate live al The Saxon Pub, Austin, TX e, in compagnia di altri musicisti tecnicamente 'stellari', ci regala queste otto tracce che sembrerebbero poche ma data la lunghezza di ognuna riescono a soddisfare ugualmente l'ascolattore. Ci sono tre cover 'Crosscut Saw' di Public Demain, Don’t Lose Your Cool di Albert Gene Collins e 'In The Open' di Freddie King and Sonny Thompson ma, attenzione, anche per i più attenti e sgamati fans, queste versioni vengono alquanto rivisitate dal genio chitarristico di Grissom che letteralmente le fa diventare “sue”. Grissom iniziò la sua carriera ad Austin nel 1983 ma in breve tempo suonò con musicisti come Buddy Guy, John Mellencamp, The Allman Brothers Band , The Dixie Chicks, Chris Isaak, John Mayall, Ringo Starr e molti altri e poi lavorò anche nella progettazione e firmato strumenti per Paul reed Smith. Ad ogni modo quello che colpisce è la sua versatilità musicale che accomuna un blues rock con passaggi jazz che scaturiscono nella fusion; un'autentica mostruosità in quanto a tecnica e esecuzione. Tutto questo lo potrete riscontrare andando subito alla traccia numero tre, 'Way Jose' e verrete travolti da un'energia live tutta strumentale di quasi sette minuti che alterna parti bluesy a chicche fusion di prim'ordine e assoli di basso e batteria in alternanza, una goduria suprema. Anche quando canta, il nostro Dave, non è affatto male, ma ovviamente il tutto si incentra sulla sua capacità tecnica che però da ampio spazio al feeling e ad un gusto per atmosfere calde, sudate e pulsanti. Come dicevo prima, questo chitarrista travolge, in molte song, le regole tecnico/esecutive del blues classico, rivedendone i canoni a suo modo come il sostituire alcune basilari tonalità, cardini di questa musica, per iniettare un mix sonoro differente e con risultati a dir poco strabilianti. Il disco si ascolta tuto di un fiato, non perde un colpo e onestamente (oltre ad un'ottima registrazione, nda) posso definirlo come una delle uscite migliori da me ascoltate in campo blues quest'anno. Da comprare assolutamente!!!!

Roby Comanducci

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Giovedì, 22 Ottobre 2020 01:10

KANSAS “The Absence Of Presence”

 

 

Line up: Ronnie Platt - lead vocals and backing vocals, Rich Williams - electric and acoustic guitars, co-producer, Zak Rizvi - electric guitar, backing vocals, producer, Tom Brislin - keyboards, backing vocals, lead vocals on “The Song The River Sang”, David Ragsdale - violin, backing vocals, Billy Greer - bass, vocals, Phil Ehart - drums, percussion, co-producer

Tracklist: The Absence Of Presence, Throwing Mountains, Jets Overhead, Propulsion 1, Memories Down The Line, Circus Of Illusion, Animals On The Roof, Never, The Song The River San

La perfezione in musica, punto. I Signori, i Maestri del symphonic rock sono tornati al disco, il sediceso di una lunghissima carriera che partì nel lontano 1974 con l'omonimo album e ci ha regalato autentiche chicche, veri e propri masterpiece quali “Leftoverture” ('76), “Point of Know Return” ('77), “Vinyl Confessions” ('82) per poi approdare verso un symphonic rock più corposo e moderno con l'innesto di stilemi pompous, hard e aor da “Power” ('86) e l'ingresso del mostruoso Steve Morse alla chitarra per poi uscire con il capolavoro assoluto nel 1988 “In The Spirit Of Things”. Poi si è diradata la produzione di questa super band con solo due (ottimi) album nei nanities e dal 2000 ad ora solo tre compreso quest'ultimo che stiamo recensendo. Da segnalare che già dal precedente “The Prelude Implicit” (2016) la band è orfana del magnifico e (quasi) insostituibile Steve Walsh, l'ugola marchio di fabbrica del gruppo ma -anche se la cosa dispiace e non poco- a livello tecnico qualitativo ammetto che hanno trovato un degno sostituto nella persona di Ronnie Platt. Venendo appunto a quest'ultima fatica in studio la prima cosa che salta “all'oreccchio” è il marcato ritorno alle pure sonorita settantiane care ai nostri e riflesse al meglio in dischi quali i già menzionati “Leftoverture” ('76), “Point of Know Return” ('77), ma anche il superbo “Masque” del 1975; sembra quindi che la band voglia riscoprire al meglio le sue radici e riproporle in modo tale che, magari, anche i rockers più giovani, possano capire ed apprezzare il sound che li ha resi quello che sono. Le song sono solo nove ma tutte di una durata medio lunga e ridondanti eufonie ed atmosfere avvolgenti e sognanti unite a passagi strumentali da autentica “scuola della musica” che talvolta ammaliano l'ascoltatore e in altri casi irrompono con la loro aggressività stemperata da tinte prog (sempre presenti) e pulsanti di pomp rock sound che solo loro riescono così magnificamente ad estrapolare e proporre su disco. Bellissimi i passagi di tastiere e i solo di violino – un David Ragsdale in gran spolvero in questo album – e comunque non manca la chitarra e i passaggi hard con riff sopraffini del duo Williams- Rizvi. Non posso scegliere una canzone, farei un torto enorme verso le altre, essendo nove piccoli capolavori sonori, però vi consiglio spassionatamente di sedervi comodi, abbassare le luci, mettervi la cuffia, equalizzare bene il vostro stereo e far partire a palla il gioiello strumentale 'Propulsion 1', e poi mi direte. Da solo vale l'acquisto dell'album. Un album assolutamente imperdibile!

Roby Comanducci

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Mercoledì, 21 Ottobre 2020 21:29

DEEP PURPLE "(Whoosh!)"

 

 

Line up: Ian Gillan – vocals, Steve Morse – guitars, Don Airey – keyboards, Roger Glover – bass, Ian Paice - drums

Tracklist: Throw My Bones, Drop the Weapon, We’re All the Same in the Dark, Nothing at All, No Need to Shout, Step by Step, What the What, The Long Way Round, The Power of the Moon, Remission Possible, Man Alive, And the Address, Dancing in My Sleep

Ragazzi, cinquantadue (52) anni sono passati dal loro esordio “Shades of Deep Purple” e sono ancora qua, sono presenti ed ancora brillanti come solo dei miti viventi possono fare. Poche, pochissime band come loro: hanno inventato l'hard rock con l'insuperabile capolavoro “In Rock” nel 1970 e da allora la nostra cara musica ha seguito le direttive dei signori “Profondo Porpora”. Non li ha scalfitti l'abbandono del man in black Blackmore (chitarra e anima del gruppo), la scomparsa di un maestro dei tasti d'avorio come Jon Lord, anni di fermo, l'età che avanza....nulla. Ok, non saranno più a livelli stratosferici ma la classe non è acqua e nel loro caso non è evaporata in una nube, i Deep sono ancora qui a sfornare album degni del loro nome, magari non capolavori, ma assolutamente al di sopra della media delle uscite del settore musicale che tanto amiamo. Ecco quindi il nuovissimo “Whoosh!” a tre anni dal penultimo “Infinite” contenente tredici ottime hard rock song sapientemente scritte, arrangiate e, ovviamente, interpretate e suonate. Il Buon Gillan non si cimenta – ma è anche umanamente logico- in “gorgheggi” o estensioni come in passato, si limita a dosare il suo caldo tono ed ammaliare l'ascoltatore aggraziando ogni song con la sua immensa classe. Il tutto poi viene plasmato dall'incommensurabile guitar work di Mr. Morse, vero e proprio axe hero che è stato capace nel tempo di prendere il posto del bravissimo Ritchie e farsi ugualmente amare da milioni di fans. Bellissimo il suo lavoro complice il duetto alle keys di Don Airey (in gran spolvero su questo disco!) nella bella ' No Need to Shout', cosa che si ripete sovente in altre tracce di questo album tanto da farci ricordare i mitici “duelli” Blackmore-Lord. Vorrei sottolineare il momento clou che viene proposto dai nostri con 'Remission Possible' fantastica intro strumentale di un minuto e mezzo che si collega con l'ammaliante, pomposa, quasi progressive 'Man Alive'; un lavoro eccelso carico di mille sfumature, mille colori e suoni che avvolgono ed ipnotizzano l'ascoltatore. Bellissima! Altro esempio da 'grande scuola' è l'hard rock settantiano (beh...in questo disco i seventies praticamente aleggiano in quasi tutte le song, il sapore retrò di “Whoosh!” è notevole, nda) della strumentale 'And the Address' per poi arrivare alla conclusiva ed intrigante 'Dancing in My Sleep' che parte con un giro di tastiere elettronico e più moderno per poi svilupparsi in una song sicuramente originale e ricca di energia. Non vado oltre, poiché non ci sono canzoni 'potenzialmente scartabili', il quintetto l'ha combinata bella, ha creato un prodottino che farà la gioia di tantissimi rockers, un album senza pretese da masterpiece ma con il carattere di chi la sa lunga su come si fa buona musica.

Roby Comanducci

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Lunedì, 19 Ottobre 2020 00:55

MARK MAY BAND “Deep Dark Demon”

 

 

Line up: Mark May – guitars, vocals, Dan Cooper – bass, Kirk McKim – guitars, Clyde Dempsey - drums.

Tracklist: Harvey’s Dirty Side, BBQ And Blues, Back, Deep Dark Demon, Sweet Music, Rolling Me Down, My Last Ride, For Your Love, Walking Out That Door, Something Good, Invisible Man

Eccoci qua a recensire il settimo album di questo eccellente chitarrista blues proveniente dall' Ohio con una lunga gavetta alle spalle in tantissimi club in tutto il Texas dove ha potuto stregare tutti con il suo stile e la sua slide guitar. Mark cita Hendrix e Albert Collins come mentori ma io aggiungerei un poco di Carlos Santana. Ascoltatevi la stupefacente 'Back' e mi saprete dire. Dal ritmo latino insito in tutta la song allo sfociare nel guitar solo che prende atto dal grande maestro Santana ma riesce comunque ad essere originale e non una banale emulazione. Da ammirare il suo gusto nell'inserire un particolare guitar solo nel contesto di una song che anche da sola sarebbe comunque interessante e, sovente, lo “sfogo” dell'axe man vive di luce propria sfociando anche in inprovvissi 'stacchi' come nell'opener 'Harvey’s Dirty Side' dove la song rallenta del tutto per far fare fuoco e fiamme alla chitarra del buon Mark che alla fine va a riprendere la canzone. Altro guitar work da brividi lo troviamo nell'interessante blues rock di 'My Last Ride' dove spezziamo una lancia in favore della sezione ritmica e del supporto della band (grandissimi musicisti) che per tutto il disco danno un contributo fondamentale. Abbiamo anche momenti più easy, in bilico tra blues e soul con tanto di fiati come la bella ed intrigante 'For Your Love', mentre si va quasi a sfociare nell'hard rock settantiano su ' Walking Out That Door', song potente con ritmica pulsante dal groove pazzesco ed un guitar work e solos da brividi! “Deep Dark Demon” si conclude con un gustoso e sapientemente dosato e ammiccante funky rock 'Invisible Man'; è doveroso quindi ammettere che il disco non perde d'intensità nemmeno per un minuto ed ogni canzone è degna di nota. Un artista veramente interessante per tutti gli amanti del blues rock, dell'hard blues, del southern rock ed in definitiva della chitarra suonata con maestria, guizzo, originalità e tanta passione!

Roby Comanducci

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Line up: Chrissie Hynde – vocals, guitars, James Walbourne – guitars, Martin Chambers – drums, Nick Wilkinson – bass, Carwin Ellis – keyboards.

Tracklist: Hate for Sale, The Buzz, Lightning Man, Turf Accountant Daddy, You Can't Hurt a Fool, I Didn't Know When to Stop, Maybe Love Is in NYC, Junkie Walk, Didn't Want to Be This Lonely, Crying in Public

Ma guarda cosa mi ritrovo per le mani: “Hate for Sale”, il nuovissimo e undicesimo full lenght album degli storici anglo-americani Pretenders (uscito se non erro in tarda primavera ma purtroppo solo adesso in mio possesso, nda) in auge dal lontano 1980, anno dell'uscita dell'omonimo debut album. Una vera istituzione, capeggiati dalla particolare voce dell'intrigante female singer e fondatrice Chrissie Hynde che, all'alba dei 69 anni, non demorde, è in ottima forma e, soprattutto, sentendola cantare su disco non le si darebbero più di quarant'anni....eh va beh, il rock fa anche questo. Dopo alcuni change di line up (purtroppo due forzati causa morte per droga del chitarrista James Honeyman-Scott e del bassista Pete Farndo... 1982-1983 se non erro, nda) ritroviamo qui una band che sprizza energia rock, con tinte leggermente pop e qualche iniezione dal punk inglese senza però mai esagerare, il tutto ben amalgamato dalla voce suadente e sensuale della nostra cantante; eh si, seppur matura Chrissie ha una voce ancora altamente sensuale. Rientra in line up il batterista originario ma i pezzi portano tutti la firma del duo Hynde-Walbourne e queste dieci tracce la dicono lunga sulla voglia di rockare di questo combo musicale. E' veramente un piacere ascoltare song come 'Maybe Love Is in NYC' commerciale al punto giusto ma assolutamente non banale, oppure il più elettrizzante rock'n'roll di 'Didn't Want to Be This Lonely', ma anche la dolce ballad finale 'Crying in Public' cantata con perizia e maestria con l'ausilio del pianoforte che rende il tutto più magico. La vena “punk” dei Pretenders invece esce diretta nella title track mentre un rock sfacciato e ribelle (che deve molto al periodo a cavallo tra fine seventies ed inizio eighties, nda) lo ritroviamo su 'I Didn't Know When to Stop' ed anche 'Turf Accountant Daddy'. Intrigante il reggae di 'Lightning Man ' mentre se volete una colonna sonora per un momento “particolare” ascoltatevi la bellissima semi ballad ' You Can't Hurt a Fool'. Gran bel lavoro questo “Hate for Sale” che ci riporta una band in perfetta forma nonostante quarant'anni di carriera.

Roby Comanducci

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Venerdì, 16 Ottobre 2020 01:55

VOODOO SIX “Simulation Game”

 

 

Line Up: Nik Taylor-Stoakes – vocals, Matt Pearce – guitar, Tom Gentry – guitar, Tony Newton – bass, Joe Lazarus – drums

Tracklist: The Traveller, Gone Forever, Liar and a thief, Inherit my shadow, Last to know, Lost, Never beyond repair, Brake, Control, One of us

I Voodoo Six sono un combo britannico giunto ormai al sesto disco, caratterizzati da un hard rock viscerale e d’atmosfera, con potenti riff ultra compressi e un retrogusto hard blues che richiama in un certo senso alcune band ormai vecchie di qualche lustro come Down e Black Label Society, al tempo stesso tiene viva la propria verve di originalità unendo alcune contaminazioni 70s (mi viene in mente “Inherit My Shadows”) a una robusta struttura hard rock che spazia sulle più diverse ispirazioni di genere dagli anni ’80 (qualche tocco) a tutti i 90 e l’inizio del millennio. Un aggiustamento di formazione abbastanza recente, tre anni (la carriera della band ormai sfiora i due decenni) ha portato ad un avvicendamento dietro il microfono, a cui si è aggiunto l’aggiungersi di una seconda chitarra, situazione che interpretiamo nell’ottica di quello che sentiamo in questo platter: hard vigoroso molto centrato su riffeggi pesanti e cadenzati più che su cavalcate o ballad, stile per il quale il giusto tono vocale è decisamente importante. Non è forse un’ugola che colpisce immediatamente l’attenzione quella di Nik Taylor-Stoakes, tuttavia è molto profonda e con un’ottima espressività, e dà una profondità drammatica importante ai pezzi, ed è decisamente uno dei principali pregi del disco (si veda “Liar and a thief”) accanto ad una produzione molto precisa e tecnica, ove ogni singolo suono è perfettamente elaborato. Il risultato è molto compatto e dà una notevole carica di atmosfera a tutto il disco. Lo stile come detto è variabile, a volte più diretto e a volte cerca di lavorare di più sull’effettistica. Di certo è un lavoro svolto con grande personalità ed esperienza ed in questo si vede il mestiere della band britannica, molto attenta al cesellamento delle singole canzoni e forse disposta anche per questo a un po’ di sacrificio della verve strumentale dei singoli elementi. Si tratta comunque di un eccellente lavoro che invita all’ascolto e se vogliamo, pur nel non inventare davvero nulla, in questo specifico periodo storico-musicale si presenta come una gradevole alternativa nell’ambito delle uscite di questo periodo. Un ascolto che decisamente consiglio perciò!

Nikki

 

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Lunedì, 12 Ottobre 2020 00:58

ARTIC RAIN “The One”

 

 

Line up: Tobias Jonsson – vocals, Magnus Berglund – guitar, Pete Alpenborg – keyboards, Gert Daun – bass, Jonas Jonsson – drums.

Tracklist: Love of my life, Lost, Friends, Night after night, Give me all of your love, Lift me up, The One, Breakout, Madeleine, Take me to your heart

Arriva tra le nostre mani per la recensione stasera il lavoro di un’interessante band svedese, all’esordio ma frutto della collaborazione di quattro strumentisti di prim’ordine tra cui spicca Pete Alpenborg, visto pochi mesi fa all’opera con i Revolution Saints e con già all’attivo numerose collaborazioni in ambito AOR/Melodic Hard Rock. Pete, che nella band occupa il ruolo di tastierista, è inoltre l’artefice a livello compositivo di questo platter, e l’esercizio in cui si cimenta non è affatto banale, si tratta infatti di ricalcare i passi della tradizione del genere, che come sappiamo è al tempo stesso fortissima nella loro natia Svezia così come nel resto del Nord Europa. Cosa otteniamo? Un lavoro comunque non banale e che desta attenzione per come riesce a riprodurre un suono tanto classico. Lo stile come detto prende a piene mani da suoni ottantiani come Whitesnake e Def Leppard, ma con influenze precedenti (Toto, Rush in alcuni frangenti). Non si deve affatto negare che l’ispirazione primigenia non pervada l’intero album, dall’attacco aggressivo di “Love of my life” alle ballad con ampio risalto della solistica della sei corde (“Free of my mind”), tuttavia ci troviamo per le mani un disco registrato con qualità tecnica notevole, non artefatta, e un arrangiamento spontaneo e di classe, che non annoia e fa gradire tutte le parti del disco, così classico eppure comunque niente affatto scontato. La qualità delle parti strumentali è sempre eccelsa, in tutte le sue componenti, ma particolare attenzione è posta nella cura delle ritmiche che danno il passo nei canonici quattro quarti di diversi brani (eccellente tra questi “Give me all of your love”); ovviamente, come da dettami del genere, la parte solistica di chitarre è sempre ben presente a sottolineare il piglio comunque decisamente ‘heavy della band, nonostante le citate influenze melodiche. E’ interessante la prestazione vocale di Mr. Tobias Jonsson, che riesce al tempo stesso a replicare gli stili più classici del genere e a dare interpretazione e spessore alla voce. Ultima menzione di nota per l’ottima produzione, che genera un suono molto ottantiano ma anche pulito, che non fa perdere di immediatezza a nessuna componente sonora. Insomma, questo è un disco che ho ascoltato molto volentieri e sicuramente non dovrebbe mancare a nessun appassionato del genere.

Nikki

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Sabato, 10 Ottobre 2020 01:07

RAMOS “My Many Sides”

 

 

Line-up: Tony Morra - drums, Fabrizio Grossi - bass, orchestration, Josh Ramos – guitars.
Vocals: Joe Retta, Tony Harnell, Danny Vaughn, John Bisaha, Harry Hess, Eric Martin, Terry Illous, Tony Mills. Michael T Ross - pianos, keyboards, Alex Alessandroni Jr – hammond, Eric Ragno - keyboards

Tracklist: Today’s The Day (Joe Retta on vocals), Unbroken (Terry Ilous on vocals), Blameless Blue (Danny Vaughn on vocals), Immortal (Tony Harnell on vocals), Same Ol’ Fears (Joe Retta on vocals), I've Been Waiting (Harry Hess on vocals), Moving On (John Bisaha on vocals), Forefather (Eric Martin on vocals), Too Good To Be True (Joe Retta on vocals), Ceremony (Instrumental),All Over Now (Joe Retta on vocals), I'm Only Human (Tony Mills on vocals)


Un gran bel disco questo debut solista del bravo e rinomato chitarrista di Hardline, Two Fires e The Storm. In questo suo solo project mette in bella mostra le sue doti chitarristiche posizionando sempre, però, la tecnica e il virtuosismo (che comunque c'è e si sente) al servizio della canzone; difatti non è un disco asettico di un qualsivoglia guitar hero, bensì un album a “tutto tondo” di un maturo e validissimo guitar player (ovvio, non aspettatevi svisate Malmsteeniane o fraseggi alla Steve Vai, non siamo a quei livelli, nda) che padrone del suo strumento cesella riff accattivanti, fraseggi di prim'ordine e quindi anche eccellenti solo. Notevole è la folta schiera di session man che hanno contribuito all'ottima riuscita di “My Many Sides”; per session man intendo i numerosi vocalist presenti, praticamente ogni song ha un interprete diverso (eccetto Joe Retta che canta in quattro tracce, nda) e persino una delle ultime interpretazioni del compianto e grande Tony Mills (ex Shy e TNT) scomparso a fine 2019. Molto bella e sentita l'interpretazione vocale dell'ex Mr.Big Eric Martin nella melodica e ammaliante 'Forefather' complici anche delle eccelse chorus lines. Un altro brano che si eleva è la strumentale dove il buon Ramos da sfoggio della sua bravura con una serie di solos ricchi di pathos, intense eufonie di base che creano un'atmosfera sognante ed eterea. Un ottimo suond che dimostra che l'importanza di sapere scrivere ottima musica è indirettamente proporzionale al virtuosismo puro, anche se su 'Ceremony' ce n'è da vendere, soprattutto nel finale dove i tecnicismi assalgono l'ascoltatore rimembrando echi di quel mostro di bravura che era il grande Gary Moore. Interessante l'incalzare dell'opener 'Today’s The Day' che parte con un solos apripista da vertigini e poi si sviluppa in un ottimo esempio di hard rock song, ma anche la pulsante e grintosa 'Moving On'. Sempre maestosa l'ugola del sublime Tony Harnell (ex TNT) che nella melodica 'Immortal' da prova di grande maturità e impreziosisce una song già di suo intrigante dove il guitar work di Josh riesce sempre a dare quel tocco di originalità che fa la differenza. Un bel lavoro, come dicevo ad inizio recensione, valido, maturo e suonato con maestria.

Roby Comanducci

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Venerdì, 09 Ottobre 2020 01:16

DIVIDED “Behind Your Neon Eyes”

 

 

Line up: Brother Belmont - lead vocals, psyKlone - guitars, programming, Void – guitars, Sol – bass, Stalkher Jr. - drums

Tracklist: Descent, Roll Out, Don't Turn Away, [futurenation], Meteorite (feat. Björn “Speed” Strid - Soilwork / The Night Flight Orchestra), Follow You, Space Samurai, The Last Starfighter, Teknoskeptic, Beam Me Up, Until The Stars Turn Cold (feat. Flo V. Schwarz - Pyogenesis)

Particolari, senza ombra di dubbio. Sicuramente una novità (abbastanza) originale e “fuori dagli schemi” in un periodo ricco sicuramente di ottime uscite discografiche ma che langue di estrosità e novità (a parte certi gioiellini come “Smackbound”, l'ultimo degli In This Moment, Me And That Man....e qualche altro titolo, nda). Ecco dunque dall'Ungheria il secondo full lenght album di questi ragazzi sicuramente vogliosi di miscelare e mixare diversi generi per ottenere un sound accattivante. La cosa interessante è che i nostri miscelano sapientemente passaggi pop e addirittura tecno a riff metallici e uniscono il new modern rock anni 2000 ai grandi acts dell'hair metal anni '80, Def Leppard su tutti. E sono infatti reminiscenze del “Leopardo Sordo” che saltano subito all'orecchio nella commerciale e danzereccia hit single '[futurenation]', brano assolutamente creato per far colpo su un pubblico giovane e voglioso di saltare! Simpatica l'iniziale 'Descent' che su una base street rock ci infila qualche passaggio dance ma non preoccupatevi, il tutto viene adeguatamente dosato e calibrato. Se volete invece rockare vi lascerei in compagnia delle belle 'Roll Out', 'Don't Turn Away' e 'The Last Starfighter' che strizzano l'occhio alle più moderne produzioni di Reckless Love, Crazy Lixx et similia. Un ospite illustre, Björn “Speed” Strid (Soilwork / The Night Flight Orchestra) ha prestato la sua voce nell'interessante 'Meteorite', un rock sicuramente ammaliante e furbo, capace di dare la scossa ma anche predisposto per possibili passaggi radiofonici. Pulsante diretta e velocissima (parte con un urlo 'banzaiii'...nda) l'eclettica 'Space Samurai' che alterna momenti quasi speedy ad altri più tranquilli (con tanto di vocina femminile orientale filtrata). Arriviamo quindi al momento dove i nostri osano di più e parliamo di 'Teknoskeptic', un mix potente tra musica tecno e riff metallici; risultato buono anche se molto lontano da perle mixate e suonate dai leggendari Killing Joke, vi ricordate “Millenium” dal disco (capolavoro) “Pandemonium” del 1994? L'album si chiude con la lenta 'Until The Stars Turn Cold' con alla voce un altro ospite Flo V. Schwarz dei Pyogenesis. Comunque sì, questo giovane combo di musicisti riesce ad incuriosire e a tratti anche a colpire nel segno. Interessante lavoro!

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Roby Comanducci

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Giovedì, 08 Ottobre 2020 01:03

BLACK ROSE MAZE “Black Rose Maze”

 

 

Line-up: Rosa Laricchiuta – vocals, Jeff Scott Soto - vocals on “Laws Of Attraction”, Alessandro Del Vecchio - bass, keyboards, Andrea Seveso – guitars, Michele Sanna – drums, Erika Ceruti - backing vocals

Tracklist: In The Dark, Laws Of Attraction (Feat. Jeff Scott Soto), Let Me Be Me, Free, Look At Me Now, Maze, Let Me Go, Only You, Earth Calling, You Can't Stop Me, Call Me Now


Un bel prodotto questo debut album della brava female singer Rosa Laricchiuta, cantautrice e perfomer da Montreal, Quebec. Venuta alla ribalta anche grazie alla partecipazione nel 2015 a “La Voix”, l'equivalente in Quebec del noto programma televisivo “The Voice”, grazie alla sua interpretazione vocale e alla sua eccellente timbrica. Poi diversi live tra cui tour di supporto alla Trans-Siberian Orchestra che l'ha lanciata e fatta notare in tutto il mondo. Infatti la Frontiers non si è lasciata scappare l'artista ed anzi, ha permesso la riuscita di questo ottimo full lenght album “Black Rose Maze”, prodotto, tra l'altro, dall'ormai onnipresente Alessandro Del Vecchio (Hardline, JORN, Revolution Saints ecc.). Il disco è fluido e potente al tempo stesso, siamo al cospetto di un classico hard rock senza contaminazioni dove la bella e soprattutto potente e tagliente voce di Rosa la fa da padrone; ascoltatevi la poderosa estensione su 'Let Me Be Me' ma soprattutto la coinvolgente interpretazione nella stupenda semi ballad 'Look At Me Now' ed anche nell'espressiva ed elegante 'Only You' votata ad un heavy rock che strizza l'occhio al grande Ronnie James Dio (come del resto anche altre tracce del disco, nda). Da segnalare l'ottima 'Laws Of Attraction' dove la singer duetta con il bravo Jeff scott Soto, brano eccellente! Undici tracks quindi per tutti gli amanti dell'hard'n'heavy classico con ottime dosi di energia e momenti più eufonici.

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Roby Comanducci

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